domenica 23 dicembre 2007

Il sogno del principe di Salina:l'ultimo Gattopardo

E' andato in scena mercoledì 19 dicembre al Teatro Fraschini di Pavia il secondo appuntamento con lo spettacolo intitolato Il sogno del principe di Salina: l'ultimo Gattopardo con la regia di Andrea Battistini.
Il testo è liberamente ispirato agli appunti e alle lettere di Giuseppe Tomasi di Lampedusa ed è bene sottolinearlo -in positivo o negativo che sia- dal momento che in parte del pubblico serpeggiavano voci di scontento per la poca attinenza ai precedenti librario e cinematografico. Ammettendo che un confronto con l'originale e con la successiva trasposizione viscontiana sono probabilmente inevitabili, specialmente agli occhi di chi quelle pagine e quelle immagini conserva ancora nel cuore, e fermo restando il pieno diritto degli spettatori di compiere paragoni (rischio calcolato nella scelta di rapportarsi con un testo famoso e amato), non bisognerebbe -a mio parere- recarsi a teatro con altra prospettiva che quella di vedere e giudicare lo spettacolo per come si presenta, senza dimenticare che esso ha una sua autonomia e un suo valore che può essere gradito o no.
Lo spettacolo, attraverso la prospettiva del principe Fabrizio Corbera (Luca Barbareschi), affronta il delicato passaggio di consegne dall'antica nobiltà all'emergente e arricchito ceto borghese in occasione dello sbarco di Garibaldi in Sicilia in prospettiva dell'unificazione italiana. Il mutamento degli equilibri e degli interessi in una Sicilia immobile e sensuale è presentato più che da un punto di vista strettamente storico, da quello dei rapporti personali e privati che si dipanano tra i personaggi: il legame di don Fabrizio con Tancredi (Alfredo Angelici) il giovane nipote votato alla causa liberale che si innamora di Angelica, la bella figlia di un neo asceso al potere; il rapporto tra il principe di Salina e Calogero Sedara (Totò Onnis) padre della promessa sposa, ignorante ex-faccendiere arricchitosi e divenuto sindaco; la relazione di Fabrizio con l'amata moglie (Chiara Di Stefano) un po' bigotta che non riesce a comprenderlo fino in fondo e il vincolo di affetto che lo lega a Concetta (Dajana Roncione), la figlia rispettosa e orgogliosa che tanto gli somiglia e che unica conserva la fierezza del "gattopardo". Il tutto visto attraverso il filtro dell'ironia e del sarcasmo che non risparmia nemmeno la chiesa e che, a volte, raggiunge punte un po' troppo eccessive correndo il rischio di avvicinare l'opera un po' troppo a una commedia e di far perdere il senso di decadimento e spaesamento vissuti dal protagonista. Sentimenti questi che esplodono in momenti come il dialogo di don Fabrizio con la piccola prostituta Mariannina e il monologo finale precedente la morte del principe. In queste occasioni che arrivano quasi prepotentemente e in contrasto con i precedenti attimi di ilarità -dove solo occasionalmente traspariva una tristezza tenuta celata- il principe dà sfogo a tutto il suo orgoglio di animale ferito che si sente inadeguato nel limbo tra passato e futuro e che solo la morte può liberare da questa sensazione.
Luca Barbareschi dà vita a un don Fabrizio possente, fiero, pungente e a volte aggressivo, proprio come un esemplare della razza felina in via d'estinzione che dà il titolo al romanzo di Tomasi di Lampedusa, che si aggira in una scenografia accurata (Carmelo Giammello) -così come i costumi di Andrea Viotti- ma allo stesso tempo preda del vortice del tempo che corre veloce cambiando tutto perchè tutto rimanga com'è.






VOTO: /5

giovedì 20 dicembre 2007

Hitman

Da qualche settimana sugli schermi italiani, Hitman - pellicola ispirata all'omonimo videogioco, famoso in tutto il mondo- racconta la storia di un agente (Timothy Oliphant) di una segreta organizzazione internazionale dedita agli assassini su commissione e il cui organico è composto da bimbi e ragazzi orfani e abbandonati educati appositamente per diventare -una volta diventati adulti- perfetti ed infallibili sicari. 47, questo il numero identificativo del protagonista, è uno di loro e si trova coinvolto, durante una missione in Russia, in un complotto ai suoi danni che coinvolge la stessa agenzia a cui appartiene e i più importanti servizi segreti mondiali.
Tra combattimenti con le spade, sparatorie, appostamenti e inseguimenti immancabili per un film di questo genere, il regista Xavier Gens rimane fedele al videogioco nella scelta dell'abbigliamento impeccabile ed elegante (giacca e pantaloni neri, camicia bianca e cravatta rossa) del personaggio principale e nel posizionamento della macchina da presa che -proprio come nel videogame- frequentemente segue a distanza ravvicinata l'agente 47, mettendone in primo piano il cranio rasato tatuato con il suo codice a barre identificativo.
Il film sicuramente apprezzabile da un pubblico amante dei film d'azione, incentrati sulle rocambolesche scene di massacri e omicidi, e dagli appasionati della console non convice fino in fondo chi (come me) è completamente digiuno di videogiochi e non impazzisce per le scene di combattimento fini a se stesse. Nonostante il tentativo di fornire un substrato psicologico "umano" al protagonista con l'inserimento del personaggio di Nika (Olga Kurylenko) -giovane e bellissima prostituta che cerca di scalfire l'imperturbabilità dell'Agente 47- e nonostante l'introduzione di una personalità più posata e riflessiva (un "buono" come lo definisce lo stesso Agente 47) come quella del capo dell'Interpol (Dougray Scott), il film non va al di là di una superficiale caratterizzazione dei personaggi. Poco importano le vere motivazioni politiche e personali, ciò che conta è offrire un pretesto per sparatorie e agguati.
Anche se complessivamente il film non entusiasma (almeno me), non mancano tuttavia elementi di forza e spunti interessanti che avrebbero meritato maggior approfondimento. Tra i primi la scelta di far interpretare l'Agente 47 all'attore Timothy Oliphant che ben incarna il fascinoso, misterioso e impenetrabile assassino e la variazione delle ambientazioni che ci portano da San Pietroburgo, ad Istanbul, attraverso la Nigeria e non solo. Mentre per quanto riguarda il secondo punto merita una nota di rilievo l'inizio del film che, sulle note dell'Ave Maria di Schubert, racconta brevemente (forse troppo) l'addestramento degli agenti-bambini all'interno dell'organizzazione segreta, una maggiore attenzione al quale avrebbe probabilmente potuto evitare il rischio di far risultare Hitman un semplice trasferimento del videogioco sullo schermo.


VOTO: /5

mercoledì 12 dicembre 2007

Parliamone insieme: "Requiem for a dream"

Si è concluso lunedì 10 dicembre il ciclo "Parliamone insieme". Protagonista del terzo e ultimo appuntamento, per affrontare il tema della droga, il film Requiem for a dream di Darren Arenofsky.
Probabilmente la più forte e impressionante delle tre proiezioni, la pellicola racconta la storia di quattro personaggi legati tra loro da legami familiari, affettivi o d'amicizia, le cui esistenze vengono devastate dall'uso della droga: Sara Goldfarb (Ellen Burstyn), madre sola e videodipendente che, per inseguire il suo sogno di un'apparizione televisiva, cade nell'abuso delle anfetamine; Harry Goldfarb (Jared Leto), suo figlio tossicodipendente, che aspira -insieme all'amico Tyrone (Marlon Wayans)- a diventare un importante spacciatore per poter guadagnare molti soldi e aprire un negozio di abbigliamento con la fidanzata, Marion Silver (Jennifer Connelly), anche lei cocainomane.
Il film, suddiviso in tre capitoli (Summer, Fall, Winter), segue la parabola discendente di questi personaggi dall'iniziale aspirazione alla felicità -in realtà solo l'inseguimento di una fragile illusione- al tragico epilogo finale che vede l'infrangersi di tutte le loro speranze.
Sebbene la scelta di questo film sia stata fatta principalmente, in questo contesto, per le provacazioni tematiche in esso contenute, è impossibile discuterne senza parlare di alcuni aspetti tecnici che contribuiscono in maniera fondamentale all'esposizione dell'argomento trattato. La pellicola, infatti, colpisce per la regia molto presente, ma non prepotente, che attraverso la scelta delle angolazioni, i numerosi movimenti di macchina e la sincronizzazione della colonna sonora contribuisce a rendere in maniera cruda e diretta l'ambiente della droga. E' soprattutto il montaggio, però, a ricoprire un ruolo preponderante: dalle vicende narrativamente parallele dei personaggi che, a tratti, vengono presentate altrettanto parallelamente sullo schermo diviso verticalmente a metà; all'accelerazione delle sequenze per comunicare l'eccitazione e lo "sballo" conseguenti all'uso di stupefacenti; da alcune accentuate ellissi temporali, al montaggio rapido, sincopato e sintetico con cui viene descritto il momento dell'assunzione della droga (cocaina sul piano di "lavoro", cartina arrotolata, vasi sanguigni, pupilla dilatata) e che si ripete sempre più frenetico col procedere del film...tutto coopera alla definizione di un quadro non apertamente violento o impressionante, salvo alcune immagini, ma non per questo meno tragico e angosciante.
L'intero film colpisce come un pugno allo stomaco, impossibile rimanere indifferenti (per usare una frase forse un po' inflazionata "o lo si odia o lo si ama") di fronte alla storia di queste vite distrutte dalla droga che solo apparentemente sembra apportare miglioramenti alle esistenze e fornire le basi per la realizzazione dei sogni dei protagonisti, ma che in realtà ne mina il fisico e lo spirito e li porta inesorabilmente verso un triste epilogo.
La droga e la dipendenza che essa provoca prendono il sopravvento sulle aspirazioni, sui desideri e sugli affetti; spingono ad umiliarsi, ad accettare compromessi e a perdere una parte di sè. Nemmeno l'amore riesce ad avere il sopravvento sull'astinenza da stupefacenti.
Nessuna speranza di riscatto traspare dal finale e un senso di angoscia pervade lo spettatore che impotente assiste allo sgretolarsi di queste vite.
Cosa ha portato questi personaggi a fare uso di droghe? La solitudine, la ricerca di una facile risposta ai propri problemi, il disperato desiderio di quella sicurezza "materna" ormai irragiungibile e ben raffigurata dalla posizione fetale che i personaggi assumono negli ultimi fotogrammi, l'ansia di non essere all'altezza delle aspettative della propria famiglia o della società? Come risponde la comunità alle persone che si "fanno"? In maniera indifferente, fredda e quasi cinica come gli esponenti dell'apparato sanitario o i tutori della legge che compaiono nel film? O con la triste e disperata impotenza delle amiche di Sara che, arrivate ormai troppo tardi per aiutare l'amica, si ritrovano a piangere davanti alla clinica in cui è rinchiusa?
Queste alcune delle domande su cui ci si è interrogati al termine della proiezione e che hanno animato la discussione su un film indubbiamente forte, ma che -a parer mio- ha il merito di presentare in modo non retorico ed edulcorato un tema del quale è giusto mettere in evidenza la crudezza.

martedì 4 dicembre 2007

Parliamone insieme: "28 giorni"

Ieri 3 dicembre secondo appuntamento con il ciclo di film legato alle dipendenze, "Parliamone insieme", organizzato dal Gruppo Giovani della parrocchia di San Lanfranco (vd. post 27 novembre 2007). Tema della serata l'alcolismo, affrontato attraverso la visione di 28 giorni pellicola del 2000 di Betty Thomas.
Il film racconta la storia di Gwen (Sandra Bullock) che trascorre il suo tempo libero tra serate con gli amici e party scatenati dove scorrono fiumi di alcol e dai quali esce sempre ubriaca fradicia, come capiamo subito dai titoli di coda accompagnati da una colonna sonora vivace e da immagini rapide e caotiche che, però, ben sintetizzano la vita sregolata della protagonista.
Proprio in seguito a una di queste nottate folli, Gwen arriva tardi al matrimonio della sorella, caratterialmente al suo opposto, rovina il suo banchetto nuziale e finisce per schiantarsi con l'auto contro una casa.
Il giudice deciderà per lei il ricovero per ventotto giorni presso un centro di riabilitazione fuori città, diretto da uno Steve Buscemi (Cornell) ex alcolizzato redento, dove Gwen avrà modo di incontrare uno strambo gruppo di lavoro composto da personalità affette da diverse problematiche che hanno cercato una risposta ai loro disagi nelle droghe, nell'alcol o nei rapporti sessuali occasionali, tra loro anche un Viggo Mortensen (Eddie) pre Signore degli anelli .
Dopo un'iniziale ritrosia, primo elemento a determinare effetti comici divertenti, Gwen comincerà ad accettare l'idea di aver bisogno di aiuto e affronterà in maniera diversa il percorso riabilitativo.
Il film, pur essendo una commedia, riesce attraverso un tocco a volte cinico e amaro a descrivere compiutamente il tema delle dipendenze e delle conseguenze da esse generate. Vediamo così come l'alcol e le droghe, apparenti soluzioni ai più svariati problemi (difficoltà in famiglia, senso di abbandono, stress, bisogno di attenzione, desiderio di dimenticare, ricerca di una carica in più, volontà di sentirsi integrati in un gruppo e in un ambiente, mancanza di fiducia nelle proprie possibilità), conducano in realtà verso la distruzione totale che riguarda il fisico, la mente, il campo lavorativo e i rapporti interpersonali.
Passo più importante e più difficile da affrontare è l'ammettere di avere un problema e il decidersi a chiedere aiuto, imparando a fidarsi degli altri e a cercare la soluzione alle proprie ansie e paure dentro se stessi e non in un surrogato esterno.
Proprio questo è il percorso compiuto da Gwen. Pur tra una battuta e l'altra -che, a mio parere, non hanno la volontà di sminuire o minimizzare il problema, bensì solo di presentarlo in un tono più avvicinabile dai più, ma non certo meno tragico- numerosi sono gli spunti di riflessione che scaturiscono dal film e che hanno animato la discussione seguente alla proiezione.
Nel dibattito, oltre a interrogarsi sul film, sulle cause che possono portare a una dipendenza come quella dall'alcol e sulle tappe necessarie all'individuazione di questo disagio e alla sua soluzione, il dialogo si è poi spostato sul tema più circoscritto dell'uso eccessivo di bevande alcoliche da parte dei giovani e dei giovanissimi (categoria un po' trascurata da 28 giorni), argomento quanto mai attuale anche in realtà a noi molto vicine. Ci si è domandati quale sia la molla che spinge un adolescente a bere o a fare uso di droghe e diverse opinioni si sono confrontate: desiderio di sentirsi integrati, voglia di far parte di un gruppo, disagi familiari, emulazione di modelli di "successo o popolarità" o semplice curiosità e ricerca di evasione dalla noia. Si è discusso su quanti effettivamente rimangano poi casi sporadici di bevute in compagnia legate all'immaturità o quanti si trasformino poi in vere e proprie dipendenze; su come i ragazzi tendano a vantarsi di queste loro bravate a differenza della maggior parte degli adulti, che affetti da questo problema, se ne vergognano e tendono invece ad isolarsi.
Moltissime sarebbero le altre riflessioni da fare su un argomento tanto ampio che ci si è ripromessi di riaffrontare anche in altre serate di discussione.
Per concludere mi piacerebbe citare una frase del film che, per quanto ad alcuni possa apparire sdolcinata, retorica o forse inadeguata a un problema tanto grave, mi pare ben possa fornire un consiglio a coloro i quali cercano nell'alcol la soluzione al loro non sentirsi all'altezza delle situazioni e al non percepirsi integrati nella società: "Non diventare una frase fatta perchè sei poesia!"

martedì 27 novembre 2007

Parliamone insieme: "California Split"

Alla sua terza edizione, ieri 26 novembre ha ripreso il via l'iniziativa "Parliamone insieme" cineforum organizzato dal Gruppo Giovani della Parrocchia San Lanfranco di Pavia (Circolo ANSPI) in collaborazione con le parrocchie di SS. Salvatore, S. Maria di Caravaggio e Torre d’Isola e col Comitato di Quartiere Pavia Ovest.
Nato dalla volontà di questo gruppo di ragazzi (a cui anch'io appartengo) di confrontarsi e di discutere su alcune delle tematiche significative della società odierna e aperto all'intera comunità cittadina, il progetto quest'anno (dopo l'attualissimo tema dell'integrazione affrontato nel 2006) vuole rivolgersi all'argomento delle dipendenze e ha scelto di farlo attraverso la proiezione di tre film dedicati uno al gioco d'azzardo (California Split di R. Altman); uno all'alcolismo (28 giorni di B. Thomas) e uno alla droga (Requiem for a Dream di D. Aronofsky).
L'appuntamento è il lunedì sera (oltre all'ormai passato 26 novembre, i prossimi incontri sono previsti per il 3 e il 10 dicembre 2007) presso la Sala Riccardo Pampuri - Domus Pacis (Via S. Lanfranco 13) dove alle 20:45 il film verrà brevemente presentato e introdotto da uno dei membri del Gruppo Giovani, Alessandro Calvi, e dove alle 21 avrà inizio la proiezione.
L'ingresso al costo di 10 euro complessivi per i tre film (5 euro la singola serata) comprende anche l'iscrizione annuale al circolo ANSPI.
Al termine della visione segue un libero e spontaneo dibattito che, a differenza delle edizioni precedenti -a volte più incentrate sui risvolti registici, tecnici e stilistici del film- punta a concentrare l'attenzione sulle tematiche sviluppate dalla proiezione ed, in particolare, sulle conseguenze che una qualsiasi dipendenza può provocare nella vita di un uomo.
Vorrei concludere con una breve presentazione del primo film presentato. California Split è un'opera di Robert Altman del 1974 in cui il regista presenta magistralmente la vita di due "amici" appassionati del gioco d'azzardo (corse di cavalli, cani, poker, casinò...). In un clima amaro che si apre a tratti di comicità, seguiamo le esistenze di questi due uomini che vivono di espedienti tra un debito e l'altro e che sperano di risolvere tutti i loro problemi con una grande vincita. Vincita che alla fine arriverà al casinò di Reno, ma che li lascerà comunque insoddisfatti.
Le loro esistenze si incrociano con quelle di altri personaggi (giocatori, ricchi possidenti, prostitute, travestiti, ecc.) e ciò che ne emerge è un mondo fatto di urla, litigi, rapine, vendette e soldi e immerso nella solitudine. Difficile è comunicare e ogni ricerca di affetto e sentimento (si veda in particolare la figura della giovane prostituta Susan) sembra fallire così come fallimentare è, nonostante tutto, la vincita conclusiva.
Diversi tra loro -uno più spensierato e scapestrato Charlie Waters (interpretato da Elliot Gould) e l'altro più riflesssivo e tormentato Bill Denny (George Segal) - entrambi cercano emozioni nel gioco d'azzardo, ogni occasione è buona per scommettere (perfino una partitella di basket in un campetto di provincia), ma alla fine in Bill emerge il dubbio: ha vinto 82.000 dollari, ma non ha sentito niente... In questo finale aperto che si chiude con Bill che lascia le sale da gioco e sull'immagine simbolica di una ruota/roulette verticale che gira (forse una metafora della vita?) ognuno può vedere la propria interpretazione: Bill abbandonerà per sempre il gioco, avendo capito che non è lì che può trovare ciò che cerca? o tornerà, una volta finiti i soldi, all'azzardo? Charlie lo seguirà? O riprenderà la sua solita vita tra una rapina subita e una messa a segno?
Questi alcuni degli interrogativi che hanno animato la discussione seguita al film.
Mi sento di invitare tutti quelli che fossero interessati alla visione di questi film e ad uno scambio di opinioni sulla tematica della dipendenza a partecipare ai prossimi appuntamenti del cineforum che ritengo essere un utile e piacevole modo per confrontarsi.

domenica 18 novembre 2007

Otello

Riprende con l'Otello di Shakespeare la stagione di prosa al teatro Fraschini di Pavia. In scena il 15, il 17 e il 18 novembre la tragedia dell'autore inglese, scritta tra il 1602 e il 1603 e messa in scena per la prima volta nel 1604 alla corte di re Giacomo Stuart, è qui ripercorsa dalla regia di Roberto Guicciardini che dirige la Compagnia Sicilia Teatro.
Grazie alla traduzione di Masolino d'Amico, che rimane fedele al testo originale, ritroviamo la potenza dell'opera shakespeariana che narra le vicende del valoroso generale Otello che, innamoratosi della bella e virtuosa Desdemona, la sposa in segreto per poi trasferirsi con lei a Cipro, dopo aver sconfitto i Turchi su incarico del governo veneziano. Ed è proprio nell'isola che scoppia il dramma: Otello, lasciatosi influenzare da Iago, inizia a nutrire il sospetto che l'adorata Desdemona abbia una relazione extraconiugale con il luogotenente Cassio suo amico (Mirko Rizzotto). A nulla serviranno le parole della moglie per difendere la sua fedeltà e la sua virtù, ormai il dubbio si è insinuato nel Moro e il tarlo della gelosia ha corrotto tutto ciò che di puro e sincero nutriva il loro sentimento, portandolo a scorgere in ogni piccolo dettaglio una prova dell'adulterio. Fino al triste epilogo nel quale Desdemona, seppur innocente, trova la morte per mano dello stesso Otello che, una volta scoperto il tragico errore, si suicida.
Sebastiano Lo Monaco, con le sue innegabili doti attoriali -riscontrabili soprattutto nella capacità di tenere la scena e nell'abilità della modulazione vocale che va dalla potenza tuonante degli ordini impartiti ai sottoposti fino alle strozzate espressioni di un uomo vittima dell'irrazionale gelosia e della disperazione conseguente al ravvedimento- dà vita ad un coraggioso condottiero, capace di diventare anche un tenero amante, ma allo stesso tempo di trasformarsi in un irrequieto e folle marito geloso e assassino.
Come il "mostro verde-occhiuto che si beffa del cibo onde si pasce" riesce a impossessarsi di Otello? Centrale è la figura di Iago, interpretato da Massimiliano Vado che presta corpo e voce ad un finto amico che, invidioso del successo di Cassio, nominato nuovo luogotenente, e adirato per un presunto tradimento della moglie con Otello stesso, ordisce un diabolico piano per vendicarsi. Facendo leva sulle insicurezze di Otello (il suo non sentirsi fino in fondo accettato dalla società per via del suo colore, il considerarsi troppo vecchio e poco adatto per una donna così bella...), Iago riesce a far credere all'uomo, attraverso stratagemmi e inganni, che la sua amata non gli è fedele. Falso indizio dopo falso indizio le convizioni di Otello vacillano e il suo orgoglio ferito riversa tutta la sua rabbia su Desdemona che l'attrice Marta Richeldi ben rappresenta come una figura angelica, virtuosa e completamente dedita al marito, che non riesce a capacitarsi del mutamento improvviso dell'amato e che nonostante la sua innocenza rimane docile ai voleri del marito, fino ad incorrere in un destino di morte.
Superato il parziale ostacolo di un'ampia durata, lo spettacolo ben mette in luce lo svilupparsi del sentimento della gelosia che riesce a minare anche gli animi apparentemente più forti, alimentando e ingigantendo fantasmi e paranoie. Ecco così che anche anche un grande amore scivola sulla china del sospetto, così come i due cadaveri di Otello e Desdemona scivolano -nel finale- sull'inclinazione della pedana lignea che costituisce l'elemento principale della scenografia, firmata da Piero Guicciardini, e che di volta in volta diventa piazza veneziana, nave, spiaggia, isola o talamo nuziale, a seconda delle prioiezioni sul telo retrostante il palco. La semplicità della scenografia, bilanciata dall'accuratezza dei costumi (Maurizio Millenotti), nulla toglie alla pregnanza degli elementi visivi che accompagnano l'evolversi degli eventi.
Piacevole anche il fuori programma che nella seconda serata ha visto protagonista Sebastiano Lo Monaco che, smessi i panni di Otello e rivestiti quelli del cabarettista, dopo gli applausi finali, ha interagito col pubblico in un'ironico scambio di opinioni sullo spettacolo e tra una frecciatina alla critica teatrale locale e alla Pavia nordica di un decennio fa, ha saputo ancora una volta mettere in risalto il suo talento istrionico.



VOTO: /5


lunedì 12 novembre 2007

Le onde del cuore

Premettendo che il mio blog solitamente si occupa di film o spettacoli teatrali, questa volta voglio fare un'eccezione parlando di un libro. Non capita tutti i giorni di vedere un caro amico riuscire a raggiungere un'obiettivo importante come la pubblicazione di un proprio scritto e visto che questo è proprio quello che è successo (per ben due volte) ad Andrea Antoniotti, desidero omaggiarlo con questa mia breve recensione per fargli sapere quanto sia contenta per lui e -nel mio piccolo- per fargli un po' di pubblicità.
Mercoledì 14 novembre Andrea sarà a Roma per promuovere il suo secondo libro "Storie di tatuaggi", che verrà presentato anche nel suo paese di nascita (Gropello Cairoli, PV) sabato 1 dicembre 2007, e in attesa di poterlo leggere e recensire ho pensato di iniziare a parlare qui della sua opera prima "Le onde del cuore".
Il libro, pubblicato nel marzo 2007 per le Edizioni Penna d'Autore di Torino, si è classificato tra i semifinalisti del premio Letterario Internazionale 2006 "Trofeo Penna d'Autore" ed è acquistabile online (http://www.pennadautore.it/biblioteca/narrativa2007/antoniotti.htm) al prezzo di 8 euro.
Si tratta di un romanzo breve incentrato su un ragazzo che, in prima persona, racconta la sua storia e quella del suo gruppo di amici alle prese con un momento importante della loro vita: la decisione di abbandonare il porto sicuro della routine, delle abitudini e dei clichè di un piccolo paese per trovare il coraggio di inseguire i propri sogni e le proprie inclinazioni e di riscoprire il proprio rapporto con Dio.
Sulla scia di una trama che ricorda il classico romanzo di formazione, ma senza eccessive pretese di grandezza, in una prosa scorrevole, il cui unico appunto può essere fatto ad alcune scelte lessicali non ancora giunte al pieno della maturità, Andrea Antoniotti riesce con un tocco delicato a seguire questo gruppo di ragazzi che, nella semplicità delle loro esistenze, si trova ad affrontare i dubbi e le difficoltà della vita di tutti i giorni connessi al non sempre semplice passaggio all'età adulta: il protagonista che, stufo dell'impiego d'ufficio e dell'immaturità di certi comportamenti, si decide a cambiare lavoro, incontra l'amore e riesce dopo le iniziali resistenze a superare il blocco dello scrittore; Fabio che, dopo un pellegrinaggio a Santiago, ritrova se stesso, rinsalda il proprio rapporto di coppia e trova un'occupazione che gli permette di esprimersi al meglio; Daniele che insegue all'estero il suo sogno di diventare giocatore di rugby; Emilio che supera i suoi timori e va a vivere da solo e Paolo che, dopo essere stato costretto a rinuciarvi per cause di forza maggiore, riprende il suo percorso verso la carriera calcistica professionale. Storie e caratteri diversi, ma accomunati dal medesimo obiettivo: scoprire quale tipo di mare agita il proprio cuore per riuscire a seguire la propria vera natura, per assecondare il moto ondoso delle proprie passioni e delle proprie necessità.
A chi avanzasse qualche dubbio sulla credibilità di una serie di storie che si avviano tutte verso il lieto fine e che paiono animate da una positività e da un ottimismo che a qualcuno possono sembrare eccessivi o fuori dal mondo, rispondo che nel libro è chiaramente riscontrabile (e in questo sono avvantaggiata, conoscendo personalmente l'autore) una nota autobiografica che permea tutte le esperienze narrate e che si fa garante della veridicità dei sentimenti, delle emozioni e degli stati d'animo che -punto di forza del racconto- sono abilmente e puntualmente descritti nel corso del racconto, che ben riesce a rendere i dubbi, le paure e le insicurezze dei personaggi. Nella narrazione non mancano gli accenni a momenti difficili e ad ostacoli che si presentano lungo il cammino di questi ragazzi, ma che riescono fortunatamente a essere affrontati facendo affidamento sulla forza dell'amicizia e della fede.
E in un periodo in cui siamo bombardati dal fiume di notizie che mettono in luce solo -o quasi- quello che di brutto o meschino possono fare i ragazzi alle prese con le innegabili difficoltà della crescita e della vita, non vorrei che questo libro venisse etichettato come un racconto edulcorato che fugge dalla realtà, perchè -a mio parere- è invece un esempio necessario di come si possa scegliere una strada alternativa, forse controcorrente, ma che che porta i suoi frutti.
Il messaggio di "Le onde del cuore" non vuole con questo esprimere nessun giudizio di merito o di valore sui diversi modi di affrontare il mondo, ma solo lanciare una testimonianza e una speranza.
E non trovo modo migliore per concludere che con alcune delle parole di Andrea, tratte dal romanzo, che vogliono essere un augurio per lui:
"Ascolta il rumore della Vita, emoziona il tuo cuore e scrivi pagine indelebili per coloro che saranno disposti ad aprire l'anima al Mondo."


lunedì 29 ottobre 2007

Molto incinta

Katherine Heigl, nota agli appassionati di telefilm come la dottoressa Izzie Stevens di "Grey's Anatomy" e, ancora prima, come l'affascinante extraterrestre nella serie "Roswell, arriva sul grande schermo nella commedia Molto incinta di Judd Apatow dove interpreta la parte di Alison Scott, promettente giornalista televisiva che, insieme al giovane e scansafatiche Ben (Seth Rogen, già presente nel film "40 anni, vergine" diretto dallo stesso regista) si trova ad affrontare un'inaspettata gravidanza.
I due, incontratisi in un club in occasione dei festeggiamenti per la promozione di Alison, in preda ai fumi dell'alcol finiscono a letto insieme la stessa sera e imparano a loro spese le conseguenze di un rapporto occasionale senza precauzioni.
Contrariamente a quella che si presenterebbe per molti -almeno oggi- come la soluzione più pratica e "indolore" (almeno apparentemente), Alison e Ben decidono di tenere il bambino, nonostante le naturali incertezze, e cominiciano pian piano la loro conoscenza reciproca.
In un montaggio alternato, che viene impiegato fin dall'inizio del film per la presentazione dei due protagonisti, vediamo svilupparsi sullo schermo la descrizione di due mondi totalmente agli antipodi: quello di Alison prototipo della donna in carriera educata e rispettosa che vive in un bel quartiere in una casa accogliente e quello di Ben allergico alle responsabilità che sopravvive dei pochi spiccioli rimanenti di un'assicurazione per un infortunio, insieme a un branco di amici strampalati e irresponsabili con i quali fuma erba, beve e progetta di gestire un sito dove è possibile scoprire a quali minuti dei film corrispondono delle scene di nudo femminile.
Queste due atmosfere e questi due caratteri apparentemente inconciliabili sono costretti a relazionarsi e a trovare punti di contatto per il bene del futuro nascituro. Non sarà facile, ma tra una visita dal ginecologo, un giro nel reparto maternità e infanzia di librerie e negozi e un'uscita con una coppia (la sorella di Alison e il marito, genitori di due vispe bambine) che, almeno teoricamente, dovrebbe aiutarli ad affrontare gli imprevisti e le avventure famigliari e che in realtà fa nascere il loro solo altri dubbi e paure, Alison e Ben riescono, dopo vari ripensamenti, a trovare la loro dimensione comune ed ad affrontare insieme il parto, punto di inizio di una nuova vita (e non solo per il bebè) che noi non vediamo, ma che possiamo immaginare il più possibile felice (nonostante le ovvie difficoltà che i due, anzi tre, come famiglia, si troveranno ad affrontare.
La innegabilmente bellissima Katherine Heigl ben mette in luce le sue capacità interpretative attraverso le quali dà vita, con tono ironico, ma credibile, alle incertezze, alle ansie e alle manie (si veda la "sofferta" scelta del medico a cui affidarsi) di una futura mamma che non sa come affrontare la prossima gravidanza, che vede i suoi piani sconvolti (anche se il fatto di essere incinta alla fine non le impedirà di proseguire con successo il suo lavoro) ed è spaventata dal fatto di affrontare tutto questo con un quasi sconosciuto partner, a cui Seth Rogen ben offre il volto di un eterno e insicuro bambinone, capace però di fare la scelta giusta nel momento del vero bisogno.
Il film racconta realisticamente, senza falsi moralismi e a volte in maniera un po' cruda -riprova ne sono i commenti e i mugolii, specialmente dei signori maschietti presenti in sala, di fronte alle scene non censurate del travaglio- le fasi della gravidanza e l'avventura di questi aspiranti genitori che sono seguiti passo passo con il risultato di 126 minuti di montato, da alcuni giudicati eccesivi, ma cheio ritengo essere funzionali all'approfondimento delle personalità dei personaggi e alla restituzione di quel tempo di paziente attesa che è la gestazione.
Il film, che nasce come commedia, potrebbe deludere chi si aspetta solo scoppi di ilarità incontenibile; le battute certo non mancano e nemmeno le risate, che nascono più dalla goffaggine di due giovani alle prese con un mondo sconosiciuto che da una volgarità a volte un po' eccessiva di certi spezzoni, ma non sono la parte preponderante della pellicola che, pur mantenendo uno sguardo lieve e non pretenzioso, offre spunti di riflessione sulle inevitabili trasformazioni che subisce una vita di coppia all'arrivo di un bambino e delle responsabilità che esso comporta; sulla stanchezza e l'incomunicabilità che può crescere tra due coniugi dopo anni di matrimonio e sulla consapevolezza delle proprie azioni e delle loro conseguenze.
Sebbene spesso il ritratto della famiglia che ne esce sia tutt'altro che rassicurante, uno spiraglio di speranza si irradia dalla scelta del lieto fine e dalla serie di fotografie, rappresentanti i membri del cast con i loro figli, che scorrono sui titoli di coda, perchè in fondo (ma questa è una mia opinione, probabilmente influenzata dall'esistenza dei miei due bellissimi nipotini, che esula dall'analisi del film,) -pur senza essere sognatori o poco concreti- una vita che nasce è pur sempre un dono.


VOTO: / 5

domenica 21 ottobre 2007

Ratatouille

La Disney/Pixar regina dell'animazione digitale torna sugli schermi con la storia di un simpatico e tenero topolino di nome Remy che ha come grande passione la cucina. Remy cresciuto insieme alla sua famiglia nella campagna parigina scopre di avere un dono: riconoscere la qualità degli alimenti e saperli combinare per creare gusti esaltanti.
Il suo strambo fratello, un buffo topone paffuto e affettuoso che ingurgiterebbe di tutto, e il padre "tradizionalista" non comprendono queste sue doti, ma il piccolo roditore, stanco di cibarsi di rifiuti, non riesce a stare lontano dalla sua passione e, di conseguenza, dalla cucina di un'anziana signora dalla quale può assistere alla trasmissione tv di uno degli chef più famosi di Parigi, Auguste Gusteau, che si fa portatore di un messaggio positivo "tutti possono cucinare...non bisogna mai abbandonare i propri sogni" e il cui ricettario diventerà il libro sacro del topolino.
Ma proprio durante una di queste incursioni nel mondo degli umani, Remy viene scoperto dall'arzilla vecchietta che caccia l'intera colonia dalla sua proprietà.
Dopo una rocambolesca fuga, il roditore si trova, separato dalla sua famiglia, nella meravigliosa Parigi che -anche se in versione cartoon- non perde nulla del suo magico fascino, proprio di fronte al ristorante di Gusteau, morto anche in seguito ad una recensione crudele del temuto critico culinario Anton Ego.
E qui inizia l'avventura staordinaria di Remy che incontra Linguini, un imbranato e goffo ragazzo appena assunto come sguattero nel ristorante che si scoprirà essere il figlio naturale di Gusteau e che, nonostante la sua totale negazione per i fornelli, per un equivoco, si trova a dover dimostrare a tutti di saper cucinare.
In suo aiuto viene appunto Remy che, accompagnato dallo spirito di Gusteau e nascondendosi sotto il cappello del giovane, lo guida nella preparazione dei piatti e può dare libero sfogo alla sua fantasia creativa.
Nonostante le ostilità del nuovo chef Skinner, un ometto scontroso che vuole guadagnare sull'immagine di Gustau associata a piatti pronti surgelati, le portate saranno così apprezzate dai clienti che la stampa tornerà a parlare del ristorante, incuriosendo perfino Ego che decide di dare una possibilità a questo talento emergente.
In seguito ai successi e alle derivanti pressioni, per il nervosismo il rapporto di fiducia e amicizia tra Linguini e Remy si incrina e il sodalizio si interrompe proprio alla vigilia della prova più importante: il temuto giudizio di Ego. Per fortuna, però, le incomprensioni si appianano e il topolino, accompagnato dall'intera colonia con cui si è ricongiunto, raggiunge Linguini e prepara una ratatouille, un piatto semplice ma gustoso composto di verdure, che riesce a colpire piacevolmente Ego riportandolo, un po' come una madeleine proustina, alla sua infanzia quando la mamma con amore gli preparava lo stesso piatto.
Alla fine Remy, nonostante l'incredulità iniziale, verrà rivelato come il vero cuoco di tutte quelle prelibatezze e nonostante l'eccellente recensione di Ego -contenente anche una interessante e acuta riflessione sulla critica e i suoi poteri, che dovrebbe far riflettere molti critici (non solo culinari) di professione- il ristorante verrà chiuso dall'ufficio d'igiene. Il successo è comunque stato raggiunto, insieme con la realizzazione dei sogni di Remy che, insieme a Linguini e ad altri amici cuochi, può finalmente aprire un proprio ristorante, sul tetto del quale è presente anche una zona riservata ai roditori.
Anche coloro che provano ribrezzo per quegli esserini squittenti, non potranno non apprezzare il nuovo lavoro di Brad Bird che, assumendosi il rischio di portare tra i fornelli un animale non proprio simpatico ai più, ha centrato l'obiettivo raggiungendo un grande successo.
Un film piacevole, non solo per i bambini, che ci fa viaggiare in ambienti perfettamente ricostruiti attraverso le condutture, i solai e i sotteranei di Parigi da un lato e la Parigi nello stesso tempo romantica, artistica e caotica per il traffico, abitata da amanti della buona cucina e dei piaceri della vista; tra comprimari ben caratterizzati (si vedano i membri dello staff del ristorante tra cui meritano una menzione il cuoco excarcerato e Colette, unica rappresentante del sesso femminile in un mondo difficile dominato dai pregiudizi maschilisti) e interessanti spunti di riflessione (l'importanza di seguire e difendere i propri sogni, la competizione, la fiducia nel nuovo e nel diverso, la forza che nasce dal sostegno della propria famiglia e dall'unione delle singole iniziative e molto ancora).
Dopo altri famosi topolini cartoon di alcuni classici Disney come Cenerentola e Bianca e Berny, ecco Remy un intelligente, educato e dolce topo, fiducioso verso il genere umano tanto temuto dal padre, che grazie alle nuovissime tecniche digitali riesce quasi a sembrare reale (si veda ad esempio la consistenza del pelo che si adatta alle diverse situazioni: al naturale, bagnato, colpito da un fulmine...) e a diventare espressivo come un attore in carne e ossa, muovendosi sulle note di una curatissima colonna sonora tra formaggi, verdure, frutte, spezie, salse e zuppe dalle consistenze e dai sapori che sembrano concreti.
Impossibile uscire dal film senza avere appetito e senza il desiderio di mettersi a cucinare, convinti del fatto che, se anche un topolino è riuscito a coronare i suoi desideri e a diventare uno chef, allora tutti abbiamo una speranza di imparare a cucinare...perfino io! :)


P.S. Una nota non può non andare al notevole cortometraggio cartoon che precede il film e che vede protagonista un imbranato extraterrestre che, assistito da un tutor, si esercita con scarsi risultati nel rapimento di un umano...complimenti agli sceneggiatori per l'idea originale e le trovate divertentissime.


P.P.S. Merita una visita anche il sito del film http://www.disney.it/Film/ratatouille

VOTO:/ 5

sabato 6 ottobre 2007

Hairspray

Dopo l'intramontabile successo di Grease, John Travolta torna di nuovo in un musical il cui titolo ruota ancora una volta attorno ad un prodotto per capelli, questa volta si tratta della lacca che in Hairspray viene usata in quantità industriali da uomini e donne per fissare le cotonate e elaborate acconciature.
Nel film diretto da Adam Shankman, remake della commedia di John Waters del 1988 dal titolo "Grasso è bello", John Travolta interpreta il ruolo di Edna, una simpatica casalinga sovrappeso la cui altrettanto in carne figlia Tracy (Nikki Blonski) desidera con tutto il cuore entrare a far parte del "Corny Collin's Show", una trasmissione televisiva incentrata sul ballo e la musica che va in onda tutti i pomeriggi su una rete locale di Baltimora.
Sulla strada verso il coronamento del suo sogno trova però un ostacolo, anzi due: Velma l'arrivista e senza scrupoli direttrice della rete televisiva, interpretata da una sempre affascinante Michelle Pfeiffer, e la figlia Amber (Brittany Snow) reginetta della trasmissione e favorita al concorso di Miss Lacca, entrambe simbolo di una società nutrita di pregiudizi fisici e razziali.
Sì, perchè la vicenda si svolge agli inizi degli anni Sessanta quando in America non è ancora avvenuta l'integrazione tra bianchi e neri e i primi passi in questo senso sono appena incominciati.
La giovane Tracy, certo non corrispondente al modello di bellezza della pin up, dominante all'epoca, ma dotata di grande talento nella danza e nel canto, riesce finalmente, anche grazie all'aiuto dei suoi amici di colore, ad entrare nel cast del programma e a convincere la madre a superare i suoi timori sul giudizio della gente, a farle da agente e ad uscire di casa, dopo dieci di anni di reclusione.
Il suo successo, però, interferisce con i disegni di Velma che per dimostrare la sua autorità e per vendicarsi delle provocazioni di Maybelle, una prorompente e carismatica conduttrice di colore perfettamente interpretata dalla bravissima e potente cantante Queen Latifah, abolisce il "negro day" (l'unica giornata della settimana in cui ai neri e permesso di ballare, rigorosamente separati dai ragazzi bianchi) dallo show.
E' giunto il momento di prendere apertamente una posizione e Tracy è in prima fila a sfilare con i suoi amici di colore per protestare contro la loro cancellazione dal programma, ma non solo...anche nella speranza di una loro futura integrazione nella società. Il corteo si imbatte nella polizia, Tracy colpisce con un cartello -che nei notiziari diventerà una pesante spranga di ferro- uno dei poliziotti ed è costretta a fuggire, diventando una ricercata e rifugiandosi a casa di Maybelle.
Nel frattempo giunge il momento della puntata principale del "Corny Collin's Show", quella in cui verrà eletta la reginetta della lacca e lo studio tv è presidiato dalle forze dell'ordine che hanno il compito di controllare che Tracy non si intrufoli. Ogni loro sforzo si rivela però inutile, perchè la ragazza riesce a entrare nella sede della tv, attraverso un ingegnoso piano ideato da Maybelle con l'aiuto di numerosi complici, tra cui Edna e suo marito Wilbur -un singolare proprietario di un negozio di scherzi divertenti, impersonato da un simpatico Christopher Walken, che ha sempre creduto nelle potenzialità della figlia e l'ha sempre spronata nell'inseguire i suoi sogni.
Tracy fa la sua comparsa nella diretta tv, vestita in un perfetto stile anni Sessanta (abito optical e capelli dritti e liscissimi) che simboleggia il nuovo che avanza e la sua definitiva rinuncia all'omologazione con un ambiente in cui in fondo non si era mai riconosciuta e nel quale aveva cercato di essere accettata anche attraverso una gonfia e perfetta cotonatura.
La ragazza rivela le vere intenzioni di Velma che aveva truccato il concorso e viene licenziata; rompe gli schemi, coinvolge nelle danze tutti i ragazzi di colore e la giovane figlia di Maybelle che, sbaragliando la concorrenza di Amber, vince la fascia di Miss Lacca.
Alla fine anche le trame del cuore trovano degna conclusione dal momento che Tracy riesce finalmente a coronare il suo amore con il ragazzo dei suoi sogni Link, ballerino protagonista della trasmissione (interpretato dal tanto amato dalle adolescenti Zac Efron, già protagonista di High School Musical), e la sua migliore amica la "bianca" Penny (Amanda Bynes) porta alla luce del sole -o sarebbe meglio dire dei riflettori- i suoi sentimenti per Seaweed (Elijah Kelley) il figlio "nero" di Maybelle.
Questa la trama di Hairspray che si sviluppa in un turbinio di musiche e canzoni coinvolgenti.
Complessivamente positivo il mio giudizio su questo musical che se, a mio parere, parte un po' lento nella prima parte, si riprende alla grande e trova il suo apice nella figura di Edna, credibilmente interpretato da John Travolta che, dopo cinque ore di trucco, con una pesante tuta al gel e cinque protesi facciali, si trasforma in una donna il cui grande peso non le impedisce di esibire le sue qualità danzerine e le sue capacità seduttive da cui il marito è ancora attratto dopo molti anni. Di rilievo è anche l'interpretazione di Queen Latifah, l'alter ego color cioccolato di Edna, che veste i panni di una coraggiosa amante del cibo piena di personalità.
Vivace nei colori, negli abiti, nelle scenografie Hairspray replica il successo del suo precedente di celluloide e del musical di Broadway, ed è destinato per successo di pubblico ad entrare nella rosa dei musical preferiti del grande schermo.



VOTO:/ 5

domenica 30 settembre 2007

Un'impresa da Dio

Come vi sentireste se una mattina vi svegliaste e tutto vi rimandasse al capitolo 6, versetto 14 del libro della Genesi ("costruisci un'arca di legno resinoso")? Se Dio vi apparisse e vi ordinasse di costruire una gigantesca imbarcazione e vi facesse trovare nel giardino di casa tutto l'occorrente? E se, ancora incapaci di capire cosa stia accadendo, coppie di animali delle più svariate specie vi seguissero mentre andate al lavoro?
Questo è proprio ciò che succede in "Un'impresa da Dio" a Evan Baxter neoeletto onorevole al Congresso che, insieme alla famiglia, si trasferisce da Buffalo alla Virginia del Nord nel tranquillo quartiere di Prestige Crest, frutto della speculazione edilizia.
L'ex giornalista, abbandonata la carriera televisiva, vorrebbe dedicarsi alla politica e all'approvazione di una legge sullo svincolo dei terreni demaniali proposta da un collega -l'onorevole Long- che nasconde desideri di guadagni illeciti, se una volontà superiore non glielo impedisse, costringendolo a indossare i panni di moderno Noè e aiutandolo ad avverare il proposito che gli aveva fruttato la vittoria nella campagna elettorale e cioè quello di cambiare il mondo.
Steve Carell, l'attore diventato famoso nella commedia "Quarant'anni vergine" e nell'agrodolce "Little Miss Sunshine", torna nuovamente diretto da Tom Shadyac nello spin off del precedente "Una settimana da Dio" con protagonista Jim Carrey, diventando qui il personaggio principale che si trova alle prese con un affettuoso e premuroso, ma anche un po' dispettoso Dio -simpaticamente interpretato da Morgan Freeman- che lo segue ovunque, si diverte a fargli crescere immediatamente la barba appena rasata e insiste a fargli vestire tuniche, a dir poco, "fuori moda", come giusto contrappasso per un maniaco dell'immagine la cui esilerante e minuziosissima preparazione mattutina di sopracciglia e narici merita una menzione. Tutto per far capire al suo prescelto che non è con le apparenze o con i grandi gesti che si mutano le situazioni, ma con "atti di reale e cortese affetto" (A.R.K = Act of Random Kindness).
Alla fine Evan Baxter capitolerà e comincerà a costruire insieme ai figli la sua arca, non senza qualche infortunio, nonostante l'ausilio di un manuale di costruzione di arche per principianti (una traduzione italiana che non rende a pieno l'originale più azzeccato e ridicolo "dummies"= idioti).
Ma la gente del posto non comprende la missione che Dio gli ha affidato, non crede alla previsione di un nuovo diluvio e lo considera fuori di testa e certo il look da cantante rock trasandato, le sue uscite inconsuete e le previsioni metereologiche non sono d'aiuto...
Perfino la moglie Joan, impersonata da Lauren Graham (che anche qui riveste oltre a quelli di consorte anche i panni di una premurosa e presente "mamma per amica"), si spaventa di fronte al cambiamento radicale del marito e credendolo depresso decide di andarsene di casa per portare i tre figli al sicuro dalla nonna. Durante il viaggio, però, uno strano incontro con un cameriere d'eccezione le fa capire che non sempre le nostre preghiere vengono esaudite come ci aspetteremmo e che se, ad esempio, noi chiediamo pazienza il Signore non ci darà pazienza ma l'occasione per dimostrarla così come se noi chiediamo che la nostra famiglia sia sempre unita nell'amore (proprio la preghiera che Joan ha espresso all'inizio del film) allora Dio ci offre la possibilità di dimostrare in prima persona quell'amore magari anche attraverso momenti difficili. Joan allora comprende e torna con i ragazzi dal marito per aiutarlo a terminare l'arca in tempo per l'inondazione.
Il 22 settembre, termine previsto per il diluvio arriva, gli animali sono tutti imbarcati, ma dal momento che il cielo non preannuncia alcuna tempesta -se non una breve pioggerella- nessuno prende sul serio gli inviti di Evan a salire sulla barca e l'onorevole Long minaccia di distruggere l'arca col pretesto che, con la sua costruzione, si sono infrante le norme del protocollo, in realtà perchè il mutamento del collega ha interferito con i suoi loschi piani.
Perfino la famiglia Baxter tentenna nelle proprie convinzioni, fino a quando Evan capisce che l'inondazione non verrà dal cielo, ma dalla diga di Long Lake, voluta dall'omonimo onorevole e mal progettata. Ad un tratto il muro di cinta del bacino crolla e solo a quel punto la gente si convince a salire sull'arca, trovando la salvezza dalla furia delle acque che distruggono l'intero quartiere. Comincia così una cavalcata sulle onde che porta il poderoso manufatto di legno proprio nella sala del Congresso dove sta per essere approvato il disegno di legge di Long che, però, vista la situazione viene abbandonato.
L'avventura è finita e Evan ha finalmente il tempo di fare un'escursione campestre con la famiglia che si conclude con la spassosa danza "rituale" di Baxter, questa volta eseguita insieme a un'autoironico Dio in persona.
Meritano un accenno anche alcuni dei numerosi personaggi di contorno che con le loro battute e particolarità rendono più vivace il film: il piccolo figlio Ryan Baxter, appassionato di documentari sugli animali, che snocciola le sue bizzarre conoscenze in contesti non sempre appropriati e il composito trio di assistenti di Baxter: Rita la premurosa e spiritosa segretaria personale; Marty assistente fidato, iper attento agli impegni di lavoro e infine l'informatissimo, ma altrettanto inconsueto giovane, Eugene che è "innamorato" del suo capo e che vorrebbe tanto assomigliargli (anche quando e nonostante Baxter sfoggi un'improbabile treccina alla barba).
E mi raccomando non abbandonate la sala alla fine del film per non perdervi le immagini del cast -animali compresi- e delle riprese del film accompagnate da una movimentata colonna sonora che fa venire voglia di mettersi a ballare.
Che dire complessivamente di questo film? Una piacevole commedia, per trascorrere una divertente e spensierata serata. Lungi da eccessive pretese, nascendo con l'intento primario di mettere a frutto le qualità comiche di Steve Carell e di offrire allo spettatore una serie esileranti situazioni condite con buffe performance di animali magistralmente addestrati, "Un'impresa da Dio" certo non pretende di ergersi a baluardo di una profonda riflessione spirituale, ma offre comunque, con la sua storia e con alcuni spunti, messaggi positivi: il valore di una famiglia unita, di un piccolo gesto disinterassato, l'importanza della fiducia reciproca...principi accusati da alcuni critici di essere frutto, nel film, di considerazioni a volte un po' scontate e superficiali, ma sempre e comunque -a mio avviso (sono forse troppo sentimentale?)- validi e necessari. In un periodo in cui molti film tralasciano il lato positivo della vita e mettono in rilievo solo le negatività e le brutture umane, che purtroppo esistono, perchè non accennare al fatto che non bisogna abbandonare la speranza e che, anche se pian piano, qualcosa può cambiare? Se questo poi avviene mentre ci godiamo qualche sana risata perchè no? In fondo l'importante è avere fede........

VOTO:/ 5