domenica 30 settembre 2007

Un'impresa da Dio

Come vi sentireste se una mattina vi svegliaste e tutto vi rimandasse al capitolo 6, versetto 14 del libro della Genesi ("costruisci un'arca di legno resinoso")? Se Dio vi apparisse e vi ordinasse di costruire una gigantesca imbarcazione e vi facesse trovare nel giardino di casa tutto l'occorrente? E se, ancora incapaci di capire cosa stia accadendo, coppie di animali delle più svariate specie vi seguissero mentre andate al lavoro?
Questo è proprio ciò che succede in "Un'impresa da Dio" a Evan Baxter neoeletto onorevole al Congresso che, insieme alla famiglia, si trasferisce da Buffalo alla Virginia del Nord nel tranquillo quartiere di Prestige Crest, frutto della speculazione edilizia.
L'ex giornalista, abbandonata la carriera televisiva, vorrebbe dedicarsi alla politica e all'approvazione di una legge sullo svincolo dei terreni demaniali proposta da un collega -l'onorevole Long- che nasconde desideri di guadagni illeciti, se una volontà superiore non glielo impedisse, costringendolo a indossare i panni di moderno Noè e aiutandolo ad avverare il proposito che gli aveva fruttato la vittoria nella campagna elettorale e cioè quello di cambiare il mondo.
Steve Carell, l'attore diventato famoso nella commedia "Quarant'anni vergine" e nell'agrodolce "Little Miss Sunshine", torna nuovamente diretto da Tom Shadyac nello spin off del precedente "Una settimana da Dio" con protagonista Jim Carrey, diventando qui il personaggio principale che si trova alle prese con un affettuoso e premuroso, ma anche un po' dispettoso Dio -simpaticamente interpretato da Morgan Freeman- che lo segue ovunque, si diverte a fargli crescere immediatamente la barba appena rasata e insiste a fargli vestire tuniche, a dir poco, "fuori moda", come giusto contrappasso per un maniaco dell'immagine la cui esilerante e minuziosissima preparazione mattutina di sopracciglia e narici merita una menzione. Tutto per far capire al suo prescelto che non è con le apparenze o con i grandi gesti che si mutano le situazioni, ma con "atti di reale e cortese affetto" (A.R.K = Act of Random Kindness).
Alla fine Evan Baxter capitolerà e comincerà a costruire insieme ai figli la sua arca, non senza qualche infortunio, nonostante l'ausilio di un manuale di costruzione di arche per principianti (una traduzione italiana che non rende a pieno l'originale più azzeccato e ridicolo "dummies"= idioti).
Ma la gente del posto non comprende la missione che Dio gli ha affidato, non crede alla previsione di un nuovo diluvio e lo considera fuori di testa e certo il look da cantante rock trasandato, le sue uscite inconsuete e le previsioni metereologiche non sono d'aiuto...
Perfino la moglie Joan, impersonata da Lauren Graham (che anche qui riveste oltre a quelli di consorte anche i panni di una premurosa e presente "mamma per amica"), si spaventa di fronte al cambiamento radicale del marito e credendolo depresso decide di andarsene di casa per portare i tre figli al sicuro dalla nonna. Durante il viaggio, però, uno strano incontro con un cameriere d'eccezione le fa capire che non sempre le nostre preghiere vengono esaudite come ci aspetteremmo e che se, ad esempio, noi chiediamo pazienza il Signore non ci darà pazienza ma l'occasione per dimostrarla così come se noi chiediamo che la nostra famiglia sia sempre unita nell'amore (proprio la preghiera che Joan ha espresso all'inizio del film) allora Dio ci offre la possibilità di dimostrare in prima persona quell'amore magari anche attraverso momenti difficili. Joan allora comprende e torna con i ragazzi dal marito per aiutarlo a terminare l'arca in tempo per l'inondazione.
Il 22 settembre, termine previsto per il diluvio arriva, gli animali sono tutti imbarcati, ma dal momento che il cielo non preannuncia alcuna tempesta -se non una breve pioggerella- nessuno prende sul serio gli inviti di Evan a salire sulla barca e l'onorevole Long minaccia di distruggere l'arca col pretesto che, con la sua costruzione, si sono infrante le norme del protocollo, in realtà perchè il mutamento del collega ha interferito con i suoi loschi piani.
Perfino la famiglia Baxter tentenna nelle proprie convinzioni, fino a quando Evan capisce che l'inondazione non verrà dal cielo, ma dalla diga di Long Lake, voluta dall'omonimo onorevole e mal progettata. Ad un tratto il muro di cinta del bacino crolla e solo a quel punto la gente si convince a salire sull'arca, trovando la salvezza dalla furia delle acque che distruggono l'intero quartiere. Comincia così una cavalcata sulle onde che porta il poderoso manufatto di legno proprio nella sala del Congresso dove sta per essere approvato il disegno di legge di Long che, però, vista la situazione viene abbandonato.
L'avventura è finita e Evan ha finalmente il tempo di fare un'escursione campestre con la famiglia che si conclude con la spassosa danza "rituale" di Baxter, questa volta eseguita insieme a un'autoironico Dio in persona.
Meritano un accenno anche alcuni dei numerosi personaggi di contorno che con le loro battute e particolarità rendono più vivace il film: il piccolo figlio Ryan Baxter, appassionato di documentari sugli animali, che snocciola le sue bizzarre conoscenze in contesti non sempre appropriati e il composito trio di assistenti di Baxter: Rita la premurosa e spiritosa segretaria personale; Marty assistente fidato, iper attento agli impegni di lavoro e infine l'informatissimo, ma altrettanto inconsueto giovane, Eugene che è "innamorato" del suo capo e che vorrebbe tanto assomigliargli (anche quando e nonostante Baxter sfoggi un'improbabile treccina alla barba).
E mi raccomando non abbandonate la sala alla fine del film per non perdervi le immagini del cast -animali compresi- e delle riprese del film accompagnate da una movimentata colonna sonora che fa venire voglia di mettersi a ballare.
Che dire complessivamente di questo film? Una piacevole commedia, per trascorrere una divertente e spensierata serata. Lungi da eccessive pretese, nascendo con l'intento primario di mettere a frutto le qualità comiche di Steve Carell e di offrire allo spettatore una serie esileranti situazioni condite con buffe performance di animali magistralmente addestrati, "Un'impresa da Dio" certo non pretende di ergersi a baluardo di una profonda riflessione spirituale, ma offre comunque, con la sua storia e con alcuni spunti, messaggi positivi: il valore di una famiglia unita, di un piccolo gesto disinterassato, l'importanza della fiducia reciproca...principi accusati da alcuni critici di essere frutto, nel film, di considerazioni a volte un po' scontate e superficiali, ma sempre e comunque -a mio avviso (sono forse troppo sentimentale?)- validi e necessari. In un periodo in cui molti film tralasciano il lato positivo della vita e mettono in rilievo solo le negatività e le brutture umane, che purtroppo esistono, perchè non accennare al fatto che non bisogna abbandonare la speranza e che, anche se pian piano, qualcosa può cambiare? Se questo poi avviene mentre ci godiamo qualche sana risata perchè no? In fondo l'importante è avere fede........

VOTO:/ 5

sabato 29 settembre 2007

Il cinema muto al museo

Per una notte, ieri 28 settembre 2007, il Museo della Tecnica Elettrica di Pavia si è trasfomato in cinema per offrire al pubblico una serata speciale.
Gli spettatori, infatti, hanno potuto rivivere una perfetta serata cinematografica anni Venti attraverso la proiezione di due film dell'epoca muta accompagnati da musica dal vivo.
L'iniziativa, nata su proposta della Regione Lombardia e grazie al lavoro di restauro della Fondazione Cineteca di Milano, ha permesso di riscoprire, anche attraverso la presentazione del professor Nuccio Lodato docente di storia del cinema all'Università di Pavia, due gioelli del cinema antecedente al sonoro: Il centauro alato (Fast and Furious) e Corsa automobilistica di Monza.
Il primo è un film di Melville Brown del 1926, una simpatica commedia ambientata nel mondo dei motori che propone settantaquattro minuti di divertenti equivoci che hanno come protagonista il giovane Tom Brown che, in seguito a un incidente stradale, incontra e si innamora di una ragazza figlia del proprietario di una scuderia automobilistica. Una volta rimessosi dalle fratture dell'incidente, che gli ha però lasciato il terrore delle automibili, Tom decide di recarsi in California per ritrovare la sua bella, ma è proprio in questa occasione che, convinto da uno scultore amico della giovane, si trova coinvolto in uno scambio di identità che, ironia della sorte, lo porta a vestire i panni George Billings famoso pilota di macchine da corsa. Nonostante la sua riluttanza, Tom si trova costretto a fingersi Billings per riacquistare la fiducia del padre della ragazza e, per poter ottenere la mano della sua innamorata, si vede anche obbligato a partecipare ad una gara automobilistica. Tra divertenti rivalità, mariti traditi, poliziotti ingannati, clacson (o corni come venivano chiamati allora) suonati e letterali prese per il naso il film si muove con un ritmo dinamico e veloce verso una conclusione a lieto fine.
Corsa automobilistica di Monza è, invece, un documentario della durata di circa quindici minuti girato all'autodromo di Monza in occasione della finale del Gran Premio di automobilismo del 1925. Una vera perla per gli appassionati (io purtroppo non posso ritenermi tale e pertanto non ho potuto godere al massimo di questo documento, conoscendo ben pochi dei nomi dei partecipanti e delle scuderie) presenta tutti i partecipanti e i campioni dell'epoca e li segue nella corsa, alternando le immagini delle automobili a quelle delle tribune e degli spettatori, fino alla fine della competizione del cui vincitore, però, non veniamo messi al corrente (per la cronaca Brilli-Peri).
E per noi, ormai abituati alle minutissime telecronache televisive domenicali, è bello per una volta mettersi nei panni di uno spettatore dell'epoca e rimanere affascinati dallo scorrere rapido dei fotogrammi e delle auto sulla pista.
I due film, già deliziosi di per sè, sono resi ancora più gradevoli dall'accompagnamento musicale scritto ed eseguito al pianoforte da Francesca Badalini, ottima musicista già esperta di accompagnamenti musicali ai film muti e prossima a prendere parte come pianista alla prestigiosa rassegna del muto di Pordenone, seguita al flauto traverso da Anna Grazia Anzelmo nel Centauro alato.
Entrambe le pellicole sono dunque accomunate dall'appartenenza al mondo dei motori, dalla velocità, dalla dinamicità, caratteristiche queste ultime da sempre associate all'arte cinematografica che è diventata emblematica di un secolo, il Novecento, animato dai ritmi sostenuti della modernità.
Clima che ben si addice alla location scelta per la proiezione, il Museo della Tecnica Elettrica diretto dal professore Antonio Savini.
Per chi non lo conoscesse -e nemmeno io devo ammetterlo fino a qualche giorno fa ero a conoscenza della sua esistenza e me ne pento- è un museo che ha "l'obbiettivo di presentare il patrimonio storico della tecnica elettrica ed il suo impatto su tutti gli aspetti della vita quotidiana e intende fare cio' in una dimensione internazionale, coprendo l'intero arco di tempo dalle origini ai giorni nostri". Approfitto dell'occasione per ricordare che questa sera in occasione de l'iniziativa "Una notte al museo" sarà possibile visitare il museo e assistere a un concerto alle ore 21:45.
Tornando alla serata cinematografica, ritengo che sia stata un'iniziativa molto piacevole che ha contribuito ad avvicinare gli spettatori -e non solo quelli esperti e appassionati del genere- al cinema muto. Ed è da riconoscere che la città di Pavia, nell'ultimo periodo, si sta muovendo inquesto senso; si ricordi infatti "Cinestesia" una rassegna di film muti accompagnati da colonna sonora dal vivo che riprenderà il 9 di ottobre a Spaziomusica con "Il dottor Mabuse" di F. Lang.
Invito pertanto chi non avesse mai avuto la possibilità di vivere quest'esperienza un po' "fuori dal tempo" ad avvicinarsi ai film muti, sicura che non ve ne pentirete.

lunedì 24 settembre 2007

Dalla scorsa stagione teatrale pavese...le "Troiane"

(Per rimpolpare un po' il mio neonato blog riporto una recensione dello spettacolo "Troiane" rappresentato venerdì 17 marzo 2007 al Teatro Fraschini di Pavia)

La giovane regista Serena Sinigaglia mette in scena il coro delle Troiane: madri, mogli, sorelle, figlie dei Greci sconfitti.
Sulla scena spoglia sono presenti pochi oggetti che di volta in volta vengono ad assumere diverse funzioni: i secchi di latta diventano tinozze d’acqua nelle quali lavarsi, tamburi su cui battere il ritmo dei lamenti e delle lotte o bracieri ai quali attizzare incendi; le valigie, che contengono il carico di dolore delle prigioniere unico loro bagaglio di viaggio verso la terra straniera, ora si trasformano in tende, ora in altare, ora nelle mura della città assediata; le giacche sono coperte, giacigli, fagotti da cullare o scudi di eroi.

Le donne vestite di bianco, uniche eccezioni sono Andromaca vestita di scuro ed Elena di rosso, si contrappongono cromaticamente agli uomini che indossano abiti neri.

Le prime umiliate, offese, violentate e derise dai maschi conquistatori che hanno anche il compito di narrare brani tratti dall’Iliade di Omero e inseriti lungo il racconto della tragedia euripidea, attraverso i quali sono richiamate alcune delle più salienti vicende della guerra di Troia come ad esempio l’uccisione e la sepoltura di Ettore.

In primo piano le figure femminili che aspettano di conoscere il loro destino di schiave e che hanno assistito impotenti ad una guerra inutile che non lascerà né vincitori né vinti, scoppiata per via di una donna, Elena, che in provocante abito da sera riesce a raggirare gli uomini con le armi della seduzione.

Ecuba, memore della passata condizione regale e straziata dal dolore, è costretta ad assistere alla morte delle persone a lei più care: il marito Priamo, i figli Ettore e Polissena, il piccolo nipote Astianatte condannato senza colpa. Impotente di fronte alla profanazione della figlia Cassandra, alla propria schiavitù e a quella della nuora Andromaca si dispera sul suolo natio che dovrà abbandonare.

Cassandra sacerdotessa consacrata ad Apollo, spogliata dalle sue sacre bende per essere destinata al letto di Agamennone, nella sua lucida follia predice disgrazie per i Greci.

Andromaca, già distrutta dalla sofferenza per la morte del marito e per il proprio tremendo futuro al fianco di Neottolemo, subisce anche l’inumana decisione del nemico che vuole uccidere suo figlio Astianatte.

Attraverso i corpi che corrono sul palco, saltano, fanno capriole si contorcono e si rotolano nella polvere e nella cenere che è stesa sul palco, arriva forte il senso di disperazione e dolore che nasce come inevitabile conseguenza dell’attività bellica e che pervade il coro delle Troiane. Contribuiscono ad accentuare questo stato di desolazione anche le voci straziate che raggiungono punti di estrema tristezza e commozione nei canti individuali o corali ai quali si unisce il sottofondo delle musiche dalla classica alla rock.

Da questo spettacolo si alza forte il grido no alla guerra che riecheggia anche nel silenzio del palco lasciato vuoto dagli attori che se ne vanno dalla platea, lasciando dietro di sé le mura incendiate di Troia.

domenica 23 settembre 2007

I Simpson Il film

Piacevole sorpresa per me che (orrore!!!) non sono una sfegatata fan dei personaggi creati da Matt Groening: il film I Simpson di David Silverman mi ha positivamente colpita, grazie quindi a chi ha insistito per portarmi al cinema sabato sera per assistere a questa nuova avventura che vede protagonista la famiglia cartoon più famosa d’America.

Fin dai titoli di testa, nei quali a essere preso di mira è il mitico logo della Twenty Century Fox, si è proiettati nel dissacrante e provocatorio mondo di questo strampalato e assortito nucleo familiare che si trova alle prese con i tanto attuali problemi ambientali.

Il capofamiglia Homer si rende responsabile di un annunciato disastro ecologico, scaricando nel lago di Springfield -nonostante i divieti- una cisterna piena degli escrementi del suo nuovo animale domestico: un esilarante spider pork, salvato dalla macellazione e dal suo destino di “riempitore” di panini in un fast food.

Essendo diventata Springfield la città più inquinata degli Stati Uniti, l’EPA (Ente Protezione Ambiente), guidata da un “protettore dell’ambiente” un po’ folle, viene incaricata di risolvere il problema dal presidente degli Usa: uno Schwarzenegger che rimpiange i bei tempi in cui interpretava commedie per famiglie e recitava col divertente amico Denny De Vito.

Dopo una casuale scelta di buste -come nei migliori quiz che si rispettino- ha la meglio la soluzione di chiudere la città sotto un enorme calotta a prova di evasione.

È a questo punto che, scoperto il colpevole di tale situazione, l’intera comunità si reca, armata di fiaccole, alla casa dei Simpson per punire il responsabile della propria reclusione forzata. Solo grazie alla piccola Maggie, “il più bel piccolo incidente che mi sia capitato” -come la definirà “affettuosamente” Homer- l’intera famiglia riesce a salvarsi fuggendo dalla calotta attraverso un buco nel giardino.

Inizia così un viaggio da ricercati verso un sognato paradiso: l’Alaska, paese dalla natura incontaminata o quasi…., dove la famiglia Simpson ritroverà un po’ di serenità. Almeno fino a quando non scoprirà da un documentario che il governo, ancora una volta manipolato dal capo dell’EPA, ha deciso di eliminare ogni traccia di Springfield dalla terra (e dai navigatori satellitari).

Il disastro provocato da Homer e le sue conseguenze non sono solo di natura ecologica e comunitaria, ma anche affettiva e personale: la sua superficialità metterà, infatti, a dura prova l’unità della sua famiglia. La delusione provocata nella figlia ambientalista Lisa (che nel film è anche protagonista di una buffa ma tenerissima storia d’amore -di quelle che fanno sudare le mani- con un giovane irlandese ricco di qualità e di ideali); il contrastato rapporto col secondogenito Bart che, sentendosi trascurato e deriso dal genitore, invidia il legame padre-figlio dei suoi vicini di casa; l’insofferenza di Marge verso un marito con il quale ha sempre dovuto chiudere un occhio per andare avanti culminano proprio in questo momento della storia nel quale Homer viene abbandonato dai suoi cari perché si rifiuta di tornare a Springfield per salvare la città e i suoi abitanti dalla distruzione.

Homer si ravvederà? Riuscirà a salvare la sua famiglia rinchiusa nuovamente sotto la cupola, dopo che i suoi piani di ribellione sono stati scoperti? Non voglio svelare il finale per non rovinare la suspence a quelli che -ancora pochi credo- non hanno visto il film.

Da cinefila quale sono, poi, non posso non fare riferimento anche alle spassosissime e numerose citazioni cinematografiche che popolano il film, due tra tutte -a mio parere le più azzeccate e divertenti- il richiamo alla scena dell’affondamento del Titanic quando i Green Day si improvvisano violinisti mentre la zattera su cui stanno facendo un concerto affonda, corrosa dagli acidi che inquinano le acque del lago, e l’irriverente rimando a due dei cartoni Disney più amati dai bambini: Cenerentola e Biancaneve, rispettivamente, la cui vestizione e toilette mattutina ad opera degli uccellini e dei topolini e le cui faccende domestiche, coadiuvate dagli animali del bosco, diventano qui una, non molto sexy ma irresistibile, scena di seduzione tra i due coniugi Simpson, finalmente lasciati soli dai figli.

Simpatiche sono anche le trovate meta cinematografiche ( i Simpson come noi sono seduti nella sala di un cinema e assistono alla proiezione di un film, con tanto di popcorn e di inservienti che alla fine passano per pulire i resti degli, a volte un po’ incivili -perdonate la frecciatina-, spettatori) attraverso le quali a essere pungolati siamo noi spettatori, “i cretini che paghiamo per una cosa che tranquillamente potremmo vedere in tv” [Homer], a cui viene ricordato, attraverso delle scritte in sovraimpressione, di non lasciarci andare ad “esternazioni corporee” perché non siamo nel nostro salotto.

Tra irriverenti critiche alla società contemporanea e ai suoi luoghi comuni; riflessioni, a volte ciniche ma anche sentite e sincere, sui rapporti umani e familiari; commenti non proprio benevoli sulla politica e i centri del potere, I Simpson riesce a mantenere viva l’attenzione, a non stancare e a farci ridere -e anche riflettere, senza troppe pretese- dal primo all’ultimo minuto, titoli di coda compresi accompagnati da un ironico inno di Springfield “rubato ai francesi che nella vita poche cose sanno fare come l’amore e il soufflé” e che potremmo meglio apprezzare se nelle multisale non accendessero le luci alla comparsa del primo credit, ma questo è un altro discorso….



A chi di coloro che non ha ancora visto il film pensi che ho rivelato troppe delle idee originali presenti nel film, rovinando così il piacere della scoperta, non rimane che andare al cinema per ricredersi e capire che ciò che ho scritto è solo una piccola parte di quello che la mente degli autori e sceneggiatori hanno saputo partorire.

Da assoluta profana di questa serie, quindi, posso esprimere un giudizio positivo su questo film che, anche se forse non sempre ha il solito mordente delle puntate tv -almeno così dicono alcune critiche "autorevoli" e appasionati certo più competenti di me in materia-, è riuscito ad aggiungere ai milioni di fan della bizzarra famiglia un'ammiratrice in più.



VOTO:/ 5