mercoledì 23 febbraio 2011

Amore e altri rimedi

“Amore e altri rimedi” - sicuramente più felice, per via dell’ambivalenza semantica, nella sua versione inglese “Love anda Other Drugs” – introduce nel già sperimentato filone hollywoodiano della storia romantica tra un protagonista sano e una dolce metà affetta da una malattia, il più delle volte incurabile, la caustica descrizione del mondo dei colossi farmaceutici.
Per farlo sceglie i volti di Jake Gyllenhaal e Anne Hathaway. Il primo interpreta Jamie Randall, farfallone impenitente, che mette a frutto le sue doti di seduttore per diventare l’informatore scientifico più “produttivo” degli Stati Uniti, senza fare i conti però con Maggie Murdock, disinibita artista e creativa, che convive col il morbo di Parkinson al primo stadio e che lo costringerà a rivedere le sue prospettive.
Un approccio meno lacrimevole e più disinvolto (diverse le scene di sesso) per trattare un tema delicato o, meglio, per sfiorarlo con garbo, visto che la scelta è quella di narrare le fase iniziale del morbo e della storia d’amore, affidando il decorso più avanzato ai brevi interventi delle comparse durante il congresso sul Parkinson e al racconto dei parenti degli affetti dal morbo (forse qui il punto più sincero e toccante).
Sullo sfondo il cinismo delle aziende del farmaco presentate - in un intrecciarsi di congressi pirotecnici, distribuzione di gadget e meeting formativi degni dei migliori party mondani - come schiave del fatturato e del guadagno.
Perfetta nella parte Anne Hathway che, con la sua bellezza e il suo fascino, è probabilmente il vero valore aggiunto di questo film che, unendo ironia e sarcasmo, non riesce però – forse per qualche mancanza nel tessuto narrativo e nella descrizione psicologica – a farci affezionare ai personaggi e a farci entrare fino in fondo in sintonia con loro, come ci si aspetterebbe da un film di questo genere.
Nel complesso questa “commedia” di Edward Zwick risulta in ogni caso un film piacevole, capace di fornire spunti di riflessione, non tralasciando di farci sorridere.



VOTO: /3

sabato 12 febbraio 2011

Roman e il suo cucciolo

Forte, crudo, potente: così si è presentato lo spettacolo “Roman e il suo cucciolo” in scena al teatro Fraschini dal 8 al 10 febbraio per la sezione prosa.
Protagonista un Alessandro Gassman perfettamente calato nella parte di Roman, un rumeno emigrato da ragazzino con la madre in Italia per sfuggire al regime di Ceausescu e diventato spacciatore per sopravvivere e per mantenere il figlio. Il suo Cucciolo, cresciuto tra pusher e protettori, ma tuttavia con l’inclinazione alla scrittura. Un giovane non italiano, ma nemmeno rumeno che si sente lontano dalle proprie origini e allo stesso tempo non integrato nella società in cui è nato. Un ragazzo il cui padre vorrebbe tenerlo lontano dall’uso delle sostanze grazie alle quali si mantengono, sperando per lui un futuro migliore. Un Cucciolo, però, indifeso e solo. Alessandro Gassman dà vita ad un padre irruente, un uomo che sbaglia, che prevarica a volte, ma che a suo modo vuole bene al figlio e che non riuscirà a sopportare il proprio fallimento più grande.
Una compagnia di attori (oltre a Gassman, Manrico Giammarota, Sergio Meogrossi, Giovanni Anzaldo, Matteo Taranto, Natalia Lungu, Andrea Paolotti) che - attraverso una recitazione urlata, a tratti violenta, ma non per questo poco curata - restituisce con lucido realismo tutto lo squallore, il disagio e il dolore dell’ambiente della droga e della prostituzione che schiaccia e travolge ogni barlume di evasione e di speranza.
Ad amalgamare il tutto una suggestiva scenografia (firmata da Gianluca Amodio) che, con gusto cinematografico fatto di stacchi, primi piani, sequenza in sovraimpressione e note sonore di accompagnamento, crea un’ambientazione altrettanto bruta e scrostata sullo sfondo della quale si svolgono le vicende. Un’atmosfera che trascina a forza lo spettatore nel mezzo della scena, che lo coinvolge emotivamente, che non gli permette di rimare al margine.
Uno spettacolo decisamente degno di nota che non può lasciare indifferenti.



VOTO:/5

venerdì 11 febbraio 2011

Immaturi

Come la prendereste se vent’anni dopo il vostro esame di maturità riceveste una raccomandata dal Ministero che vi avvisa che, per un’irregolarità, tutto è da rifare? Proprio questo quello che capita ad una classe di ex liceali romani - già ben avviati nel mondo del lavoro, se forse non nella vita “adulta” - i quali ben altro hanno per la testa che libri, temi e versioni di greco. E questo il pretesto per raccontare non tanto il rinnovarsi delle ansie e delle paure legate al tanto temuto esame di stato, quanto l’incontro di un vecchio gruppo di amici. Quegli amici – per rubare le parole al Raul Bova (Giorgio) voce narrante – per i quali avresti fatto di tutto, sapendo di essere ricambiato e per i quali faresti di tutto anche dopo tanti anni, come se non fosse passato un giorno.
Un film forse un po’ nostalgico, sulla scia del programma radiofonico di Luca Bizzarri (Piero), ma che, (ri)immergendoci tra l'alternarsi di ricordi adolescenziali e il richiamo a dinamiche scolastiche fatte di liti, amori, gite e avventure, ci porta alla scoperta delle vite dei protagonisti alle prese con ben altre "prove di maturità": la paura di diventare padre, di impegnarsi in un rapporto serio, di lasciare il nido, di amare, di crescere...
Figure di eterni Peter Pan, forse un po' stereotipate, ma sicuramente attuali e presentate con garbo, ironia e humor da un cast di attori (oltre ai già citati: Ambra Angiolini, Barbara Bobulova, Anita Caprioli, Paolo Kessisoglu) che, nonostante le diverse provenienze, ben si amalgama e ben riesce a dare credibilità a questa compagnia di amici.
Tra tutti emerge per brio e stile Ricky Menphis (Lorenzo) che, anche grazie a un esilerante comprimario (Maurizio Mattioli) , riesce a portare sullo schermo un "bamboccione" di tutto rispetto tenero e divertente, ipercoccolato cocco di mamma.
Paolo Genovese mette la firma ad una commedia piacevole che, evitando tempi morti, procede con ritmo vivace e con leggerezza non si dimentica tuttavia di farci riflettere.


VOTO: /5

martedì 1 febbraio 2011

Un ispettore in casa Birling

Le assi del palcoscenico del teatro Fraschini si tingono di giallo, ospitando dal 21 al 23 gennaio 2011 lo spettacolo “Un ispettore in casa Birling”.
Il testo scritto dall’autore inglese John Boynton Priestley racconta la storia di un party borghese, organizzato per il fidanzamento della figlia di un imprenditore, funestato dall’arrivo di un misterioso ispettore venuto ad indagare circa il suicidio di una giovane donna.
Il clima gioioso e rilassato della festa viene incrinato dalle domande pacate, ma perentorie dell’uomo interessato a scoprire il coinvolgimento dei singoli membri della famiglia.
In un impianto scenografico di sapore cinematografico, che prevede sequenze velocizzate e una colonna sonora fuori campo ad accompagnare i momenti salienti della narrazione e a sottolineare la suspense – sotto la regia di Giancarlo Sepe - quella che si presenta al pubblico non è solo una trama poliziesca, ma un vivido e pungente ritratto di una borghesia che dietro l’apparente velo di spensieratezza e correttezza morale nasconde in realtà ben altri segreti.
Paolo Ferrari dà vita ad un ispettore Goole implacabile e tenace, coscienza troppo a lungo tenuta repressa di una famiglia i cui valori si reggono pericolosamente in bilico tra apparenza, cinismo, affettazione e legami sociali.
Accompagnato da un cast affiatato - formato da Andrea Giordana, Crescenza Guarnieri, Cristina Spina, Vito Di Bella, Mario Toccafondi, Loredana Gjeci - che sa reggere sapientemente e con professionalità i ritmi degli eventi e delle rivelazioni, l’abile indagatore in un continuo gioco di colpi di scena ci conduce attraverso uno spettacolo avvincente e godibilissimo.



VOTO: /5