martedì 4 dicembre 2007

Parliamone insieme: "28 giorni"

Ieri 3 dicembre secondo appuntamento con il ciclo di film legato alle dipendenze, "Parliamone insieme", organizzato dal Gruppo Giovani della parrocchia di San Lanfranco (vd. post 27 novembre 2007). Tema della serata l'alcolismo, affrontato attraverso la visione di 28 giorni pellicola del 2000 di Betty Thomas.
Il film racconta la storia di Gwen (Sandra Bullock) che trascorre il suo tempo libero tra serate con gli amici e party scatenati dove scorrono fiumi di alcol e dai quali esce sempre ubriaca fradicia, come capiamo subito dai titoli di coda accompagnati da una colonna sonora vivace e da immagini rapide e caotiche che, però, ben sintetizzano la vita sregolata della protagonista.
Proprio in seguito a una di queste nottate folli, Gwen arriva tardi al matrimonio della sorella, caratterialmente al suo opposto, rovina il suo banchetto nuziale e finisce per schiantarsi con l'auto contro una casa.
Il giudice deciderà per lei il ricovero per ventotto giorni presso un centro di riabilitazione fuori città, diretto da uno Steve Buscemi (Cornell) ex alcolizzato redento, dove Gwen avrà modo di incontrare uno strambo gruppo di lavoro composto da personalità affette da diverse problematiche che hanno cercato una risposta ai loro disagi nelle droghe, nell'alcol o nei rapporti sessuali occasionali, tra loro anche un Viggo Mortensen (Eddie) pre Signore degli anelli .
Dopo un'iniziale ritrosia, primo elemento a determinare effetti comici divertenti, Gwen comincerà ad accettare l'idea di aver bisogno di aiuto e affronterà in maniera diversa il percorso riabilitativo.
Il film, pur essendo una commedia, riesce attraverso un tocco a volte cinico e amaro a descrivere compiutamente il tema delle dipendenze e delle conseguenze da esse generate. Vediamo così come l'alcol e le droghe, apparenti soluzioni ai più svariati problemi (difficoltà in famiglia, senso di abbandono, stress, bisogno di attenzione, desiderio di dimenticare, ricerca di una carica in più, volontà di sentirsi integrati in un gruppo e in un ambiente, mancanza di fiducia nelle proprie possibilità), conducano in realtà verso la distruzione totale che riguarda il fisico, la mente, il campo lavorativo e i rapporti interpersonali.
Passo più importante e più difficile da affrontare è l'ammettere di avere un problema e il decidersi a chiedere aiuto, imparando a fidarsi degli altri e a cercare la soluzione alle proprie ansie e paure dentro se stessi e non in un surrogato esterno.
Proprio questo è il percorso compiuto da Gwen. Pur tra una battuta e l'altra -che, a mio parere, non hanno la volontà di sminuire o minimizzare il problema, bensì solo di presentarlo in un tono più avvicinabile dai più, ma non certo meno tragico- numerosi sono gli spunti di riflessione che scaturiscono dal film e che hanno animato la discussione seguente alla proiezione.
Nel dibattito, oltre a interrogarsi sul film, sulle cause che possono portare a una dipendenza come quella dall'alcol e sulle tappe necessarie all'individuazione di questo disagio e alla sua soluzione, il dialogo si è poi spostato sul tema più circoscritto dell'uso eccessivo di bevande alcoliche da parte dei giovani e dei giovanissimi (categoria un po' trascurata da 28 giorni), argomento quanto mai attuale anche in realtà a noi molto vicine. Ci si è domandati quale sia la molla che spinge un adolescente a bere o a fare uso di droghe e diverse opinioni si sono confrontate: desiderio di sentirsi integrati, voglia di far parte di un gruppo, disagi familiari, emulazione di modelli di "successo o popolarità" o semplice curiosità e ricerca di evasione dalla noia. Si è discusso su quanti effettivamente rimangano poi casi sporadici di bevute in compagnia legate all'immaturità o quanti si trasformino poi in vere e proprie dipendenze; su come i ragazzi tendano a vantarsi di queste loro bravate a differenza della maggior parte degli adulti, che affetti da questo problema, se ne vergognano e tendono invece ad isolarsi.
Moltissime sarebbero le altre riflessioni da fare su un argomento tanto ampio che ci si è ripromessi di riaffrontare anche in altre serate di discussione.
Per concludere mi piacerebbe citare una frase del film che, per quanto ad alcuni possa apparire sdolcinata, retorica o forse inadeguata a un problema tanto grave, mi pare ben possa fornire un consiglio a coloro i quali cercano nell'alcol la soluzione al loro non sentirsi all'altezza delle situazioni e al non percepirsi integrati nella società: "Non diventare una frase fatta perchè sei poesia!"

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