mercoledì 12 dicembre 2007

Parliamone insieme: "Requiem for a dream"

Si è concluso lunedì 10 dicembre il ciclo "Parliamone insieme". Protagonista del terzo e ultimo appuntamento, per affrontare il tema della droga, il film Requiem for a dream di Darren Arenofsky.
Probabilmente la più forte e impressionante delle tre proiezioni, la pellicola racconta la storia di quattro personaggi legati tra loro da legami familiari, affettivi o d'amicizia, le cui esistenze vengono devastate dall'uso della droga: Sara Goldfarb (Ellen Burstyn), madre sola e videodipendente che, per inseguire il suo sogno di un'apparizione televisiva, cade nell'abuso delle anfetamine; Harry Goldfarb (Jared Leto), suo figlio tossicodipendente, che aspira -insieme all'amico Tyrone (Marlon Wayans)- a diventare un importante spacciatore per poter guadagnare molti soldi e aprire un negozio di abbigliamento con la fidanzata, Marion Silver (Jennifer Connelly), anche lei cocainomane.
Il film, suddiviso in tre capitoli (Summer, Fall, Winter), segue la parabola discendente di questi personaggi dall'iniziale aspirazione alla felicità -in realtà solo l'inseguimento di una fragile illusione- al tragico epilogo finale che vede l'infrangersi di tutte le loro speranze.
Sebbene la scelta di questo film sia stata fatta principalmente, in questo contesto, per le provacazioni tematiche in esso contenute, è impossibile discuterne senza parlare di alcuni aspetti tecnici che contribuiscono in maniera fondamentale all'esposizione dell'argomento trattato. La pellicola, infatti, colpisce per la regia molto presente, ma non prepotente, che attraverso la scelta delle angolazioni, i numerosi movimenti di macchina e la sincronizzazione della colonna sonora contribuisce a rendere in maniera cruda e diretta l'ambiente della droga. E' soprattutto il montaggio, però, a ricoprire un ruolo preponderante: dalle vicende narrativamente parallele dei personaggi che, a tratti, vengono presentate altrettanto parallelamente sullo schermo diviso verticalmente a metà; all'accelerazione delle sequenze per comunicare l'eccitazione e lo "sballo" conseguenti all'uso di stupefacenti; da alcune accentuate ellissi temporali, al montaggio rapido, sincopato e sintetico con cui viene descritto il momento dell'assunzione della droga (cocaina sul piano di "lavoro", cartina arrotolata, vasi sanguigni, pupilla dilatata) e che si ripete sempre più frenetico col procedere del film...tutto coopera alla definizione di un quadro non apertamente violento o impressionante, salvo alcune immagini, ma non per questo meno tragico e angosciante.
L'intero film colpisce come un pugno allo stomaco, impossibile rimanere indifferenti (per usare una frase forse un po' inflazionata "o lo si odia o lo si ama") di fronte alla storia di queste vite distrutte dalla droga che solo apparentemente sembra apportare miglioramenti alle esistenze e fornire le basi per la realizzazione dei sogni dei protagonisti, ma che in realtà ne mina il fisico e lo spirito e li porta inesorabilmente verso un triste epilogo.
La droga e la dipendenza che essa provoca prendono il sopravvento sulle aspirazioni, sui desideri e sugli affetti; spingono ad umiliarsi, ad accettare compromessi e a perdere una parte di sè. Nemmeno l'amore riesce ad avere il sopravvento sull'astinenza da stupefacenti.
Nessuna speranza di riscatto traspare dal finale e un senso di angoscia pervade lo spettatore che impotente assiste allo sgretolarsi di queste vite.
Cosa ha portato questi personaggi a fare uso di droghe? La solitudine, la ricerca di una facile risposta ai propri problemi, il disperato desiderio di quella sicurezza "materna" ormai irragiungibile e ben raffigurata dalla posizione fetale che i personaggi assumono negli ultimi fotogrammi, l'ansia di non essere all'altezza delle aspettative della propria famiglia o della società? Come risponde la comunità alle persone che si "fanno"? In maniera indifferente, fredda e quasi cinica come gli esponenti dell'apparato sanitario o i tutori della legge che compaiono nel film? O con la triste e disperata impotenza delle amiche di Sara che, arrivate ormai troppo tardi per aiutare l'amica, si ritrovano a piangere davanti alla clinica in cui è rinchiusa?
Queste alcune delle domande su cui ci si è interrogati al termine della proiezione e che hanno animato la discussione su un film indubbiamente forte, ma che -a parer mio- ha il merito di presentare in modo non retorico ed edulcorato un tema del quale è giusto mettere in evidenza la crudezza.

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