mercoledì 30 gennaio 2008

Aldo Moro - Una tragedia italiana

A trent' anni dall'assassinio di Aldo Moro, arriva sul palcoscenico lo spettacolo Aldo Moro - Una tragedia italiana. Andato in scena ieri, 29 gennaio, al Teatro Fraschini di Pavia per la rassegna "Altri Percorsi", l'opera ripercorre la terribile vicenda del presidente della Democrazia Cristiana, rapito il 16 marzo 1978 a Roma, mentre andava al lavoro, da un gruppo di terroristi che uccide inoltre tutti gli uomini della sua scorta. Il sequestro, rivendicato dalle Brigate Rosse, durerà per ben 55 giorni per concludersi con l'omicidio del politico e con l'abbandono del suo corpo in una macchina parcheggiata in una traversa di Via delle Botteghe Oscure.
Il regista Giorgio Ferrarara decide di rievocare questa triste storia, punto cardine per la politica italiana, attraverso l'uso di materiale documentario proveniente dagli archivi di telegiornali e trasmissioni televisive e la proiezione di spezzoni tratti dall'adattamento cinematografico di Marco Bellocchio che vanno a intervallare o a sovrapporsi alla recitazione dei due attori in scena.
Lorenzo Amato riveste il ruolo di "presentatore" e commentatore dell'intera ricostruzione con il compito di far riflettere sulle pieghe prese dagli eventi e sulle loro conseguenze e di introdurre i filmati e le scene che ci riportano nel covo delle BR alla prigionia di Aldo Moro.
Quest'ultimo è interpretato da Paolo Bonacelli che, con la sua inconfondibile voce raschiata, dà vita, più che alla figura dello statista, a quella dell'uomo Aldo Moro, rinchiuso in una scenografia costituita da una claustrofobica gabbia metallica circondata da muri in cemento, a sottolineare il peso della detenzione forzata.
Il tutto a partire da un testo scritto da Corrado Augias e Vladimiro Polchi che si basa sulla corrispondenza inviata all'esterno da Aldo Moro durante la prigionia e su citazioni e testimonianze tratte da scritti di Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia.
Le missive si rivolgono ad alcuni dei rappresentanti delle più alte cariche politiche e governative (Zaccagnini, Piccoli, Cossiga, Rognoni), ma non solo. Nel tentativo di convincere lo Stato a trovare un accordo con i suoi rapitori per la propria liberazione, Aldo Moro chiede anche l'intervento di Papa Paolo VI. Ma sono le lettere ai familiari quelle che più colpiscono e mettono il luce il risvolto umano di quello che è sì uno dei più importanti rappresentati di una certa visione politica (e proprio l'essere il presidente della DC -più che una sua diretta responsabilità circa la situazione italiana dell'epoca- lo espose alle rivendicazione brigatiste), ma è anche un padre di famiglia e un marito con il desiderio di riabbracciare i suoi cari e con la paura di non poterlo più fare.
Attraverso la descrizione semplice, diretta e toccante di una pagina importante della recente storia italiana che presenta ancora risvolti oscuri, scopriamo l'angoscia di uomo che, consapevole del pericolo di morte imminente, come ultima speranza, fa appello al mondo esterno e da questo si sente abbandonato a favore di una ragione di stato che non può comprendere fino in fondo. Le ragioni politiche e di sicurezza nazionale che impongono di non trattare con i terroristi per non creare precedenti a successive pretese di carattere analogo si mescolano con le ragioni del cuore che assegnano alla singola vita umana un valore che nemmeno i più alti principi teorici di giustizia e legalità, difesi strenuamente (ma forse soloin alcuni casi...), possono oscurare.
E così quella che, ad un primo impatto, per impostazione e toni, può apparire più come un'inchiesta giornalistica piuttosto che una vera e propria opera teatrale "classica" si rivela invece, specialmente con il procedere dell'azione, come una tragedia dal sapore antico. Come una moderna Antigone, la coscienza dei politici di allora e quella dei singoli cittadini di ieri come di oggi cosi trova di fronte al inconciliabile dilemma con cui si conclude lo spettacolo: polis o pietas?


VOTO:/5

sabato 26 gennaio 2008

Nome di battaglia Lia

Ieri, 25 gennaio, al Teatro Fraschini il secondo appuntamento con la rassegna Altri Percorsi che ha visto rappresentato sul palco pavese lo spettacolo Nome di battaglia Lia.
In concomitanza con la giornata della memoria, il testo di Renato Sarti, anche regista e attore, salva dall'oblio la storia di Gina Galeotti Bianchi giovane donna partigiana e figura di spicco nei Gruppi di Difesa della Donna milanesi che, incinta, venne uccisa dai nazisti il 24 aprile 1945 proprio mentre portava a termine la sua ultima missione: portare alla Pirelli, insieme alla compagna Stella Vecchio, l'ordine di insurrezione contro i tedeschi. Conosciuta nei gruppi della Resistenza con il nome di battaglia Lia, questa donna forte e coraggiosa incrocia la sua storia con quella di molte altre "eroine" altrettanto determinate e generose che, pur non rinunciando alle semplici gioie della vita come l'andare a ballare o al cinema, si impegnano attivamente per tenere in vita un mondo fatto di solidarietà e desiderio di libertà. E sono proprio alcune di queste donne che, reduci dall'esperienza della dittatura fascista, raccontano e ricordano molti anni più tardi gli episodi che le hanno viste protagoniste nel quartiere Niguarda di Milano e gli avvenimenti tragici di quei giorni in cui perse la vita la loro compagna Lia.
A dar voce a queste figure femminili sono Marta Marangoni e Rossana Mola che, coadiuvate da Renato Sarti, con entusiasmo e vigore rivivono quegli anni sul filo della memoria. In una scenografia spoglia fatta semplicemente di tavoli e sedie e di due biciclette protagoniste sia nello svolgimento delle missioni delle staffette partigiane, sia nell'economia dello spettacolo: è proprio a cavallo di esse che le due attrici entrano sulla scena attraversando la platea e proprio le biciclette torneranno nella coinvolgente ricostruzione finale dell'uccisione di Gina, rievocata sullo scorrere, via via più accelerato, delle immagini delle vie di Milano che si dipanano su uno schermo alle spalle delle due attrici.
La storia di per sè molto toccante è raccontata però in alcuni punti, specialmente all'inizio, in maniera un po' caotica. La recitazione, pena anche qualche problema di acustica non proprio perfetta, risulta a tratti troppo concitata: le battute -sicuramente interpretate sull'onda di una voluta enfasi dettata dalla partecipazione emotiva- sono pronunciate troppo rapidamente e ciò, a volte, non permette di afferrarne a pieno il significato.
Anche la scelta linguistica di mescolare italiano e dialetto milanese risulta, a mio avviso, poco riuscita: i due idiomi non riescono ad amalgamarsi in maniera naturale e gli stacchi tra l'uno e l'altro risultano un po' forzati così come le continue glosse a tradurre alcune espressioni dialettali.
Fuori luogo anche alcuni riferimenti alla storia contemporanea che, con il loro intento ironico-polemico, non vanno al di là delle solite battute trite e scontate, volte a suscitare la semplice risatina di consenso, e nulla aggiungono al vero nucleo significativo dell'opera: l'esaltazione della tenacia e della forza femminile a difesa del valore di libertà.



VOTO: /5

giovedì 24 gennaio 2008

La parola ai giurati

Al teatro Fraschini di Pavia arriva in cartellone (22, 23, 24 gennaio) lo spettacolo La parola ai giurati dal testo di Reginald Rose interpretato e diretto da Alessandro Gassman.
Lo spettacolo, direttamente ispirato al film del 1957 di Sidney Lumet Twelve Angry Men, racconta la storia della travagliata decisione di una giuria convocata, nella America degli anni '50, per decidere della vita di un sedicenne ispano-americano accusato dell'omicidio volontario del padre.
La condanna sembrerebbe scontata e la camera di consiglio breve, se non fosse per la resistenza di un unico giurato (Gassman) che, prima di comminare la pena di morte, si appella all'esistenza di un ragionevole dubbio circa la colpevolezza dell'imputato e chiede che tutti gli indizi e le testimonianze vengano riesaminati. Parte così una lunga ed estenuante ricostruzione dei fatti che porta pian piano tutti i componenti della giuria a rivedere le proprie convinzioni.
La parola ai giurati è un'opera teatrale che si sviluppa su un impianto d'impronta cinematografico al quale rimandano diversi accorgimenti: le proiezioni su uno schermo trasparente di vedute della città di New York; l'avvicendarsi di spezzoni dell'omonimo film a momenti di recitazione; salti temporali -rappresentati dallo scorrere veloce delle lancette dell'orologio, isolato nell'oscurità dal resto della scenografia- che richiamano stacchi cinematografici; l'alternarsi di diversi ambienti (il bagno e la sala del consiglio) come in un montaggio parallelo, la colonna sonora a sottolineare i momenti di tensione e di pathos, fino alla presentazione degli interpreti al termine dello spettacolo che ricorda lo scorrere dei titoli di coda di un film.
L'incontro di cinema e teatro sul palco, sintomatico a volte della carenza espressiva di certa recitazione, è invece in questo caso risultato di una scelta registica oculata in grado di trarre il massimo vantaggio dal connubbio tra queste due arti che, convivendo, si esaltano e contribuiscono a sottolineare la tragicità e l'importanza del tema trattato.
In uno spettacolo tutto al maschile, Alessandro Gassman dà vita al responsabile e riflessivo giurato n. 8 che, con la sua voce profonda e suadente, convince i colleghi a soppesare bene tutti i dettagli prima di arrogarsi, a cuor leggero, il diritto di porre fine alla vita di un giovane uomo. La sua convincente interpretazione ben si amalgama con la recitazione degli altri undici giurati (Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Fabio Busotti, Paolo Fosso, Nanni Candelari, Emanuele Salce, Massimo Lello, Emanuele Maria Basso, Giacomo Rosselli, Matteo Taranto, Giulio Federico Janni) che portano sulla scena le esistenze di uomini profondamente diversi, costretti da una convivenza forzata in una stanza afosa e sigillata a confrontarsi con gli altri, con i propri limiti e con i propri istinti, a volte poi non così differenti da quelli di un presunto assassino.
Il risultato complessivo è quello di un'opera corale che dal singolo caso sposta l'attenzione ad un ambito più generale per affrontare il delicato argomento della pena di morte, nel tentativo di far riflettere sul valore della vita, sulla giustizia e sui diritti di vittime e colpevoli. Temi ambiziosi, affrontati qui in modo appassionato e senza banalità -rischio frequente in questi casi- in un viaggio nella psicologia umana e nella società contemporanea.



VOTO: /5

domenica 20 gennaio 2008

Bianco e nero

In un mondo impegnato per il raggiungimento dell'integrazione razziale e permeato dalle più nobili intenzioni egualitarie lo scompiglio irrompe quando Carlo (Fabio Volo), da sempre restio a presenziare a serate di beneficenza in favore dei meno fortunati e poco interessato alle cause del terzo mondo, conosce Nadine (Aissa Maiga), bellissima e raffinata donna di colore sposata con Bertrand (Eriq Ebouaney) paladino del riscatto africano. Tra i due nasce subito una sintonia e si sviluppa un'attrazione fatale che sfocia in un rapporto adulterino che travolgerà come un ciclone Elena (Ambra Angiolini), moglie di Carlo, da sempre impegnata in attività umanitarie a favore del continente nero e che ha fatto del politicamente corretto uno stile di vita.
Nella sua ultima commedia Cristina Comencini racconta come di fronte a un tradimento, che colpisce nel profondo, ogni apparenza venga spazzata via per lasciare il posto a ciò che veramente si cela nell'intimo di una persona e portare a galla pregiudizi insospettati.
E se davanti al sentimento le differenze di colore si annullano non così avviene agli occhi di una società che, pur ergendosi a promotrice di valori d'uguaglianza ancora si nutre di luoghi comuni. Cliché, spaventosamente banali, ma anche spaventosamente reali, che ben emergono nel film e si concretizzano specialmente in una serie di personaggi secondari, un po' macchiettistici, la cui indole porta a inevitabili effetti comici. Tra tutti spiccano un Franco Branciaroli nei panni del padre "marpione" di Elena e una buffa Katia Ricciarelli nel ruolo della madre vedova e un po' svanita di Carlo.
Credibili i quattro interpreti protagonisti che ben mettono in luce le dinamiche generate in una coppia dal tradimento. Fabio Volo mette a frutto la sua ironia e vivacità animando il personaggio di Carlo e Ambra Angiolini, dopo l'esordio nel cinema d'autore con Saturno Contro, si conferma valida attrice nel dare voce al risentimento di moglie ferita che si trova a fronteggiare lati di sè che non credeva di possedere.
Poco convincente però il finale che, se opta per la felice conclusione del nuovo e incontenibile amore, simbolo di speranza per un futuro di vera integrazione, giunge però troppo repentinamente e a sorpresa, spiazzando lo spettatore rispetto al percorso psicologico compiuto fino a quel punto dai personaggi. Meglio sarebbe stato concludere il film al più coerente, anche se sofferto, ricongiungimento dei nuclei familiari iniziali o -per lo meno- non ignorare nel risvolto finale le reazioni dei rispettivi coniugi, già sufficientemente provati in precedenza e nuovamente abbandonati.



VOTO:/5

venerdì 11 gennaio 2008

Non svegliate Cecile, è innamorata!

Martedì 8 gennaio 2008 (dopo l'anteprima fuori abbonamento di lunedì 7 gennaio) alle ore 21 è andata in scena al teatro Fraschini la commedia Non svegliate Cecile, è innamorata!
Lo spettacolo, che inaugura la stagione pavese di "Altri Percorsi" e la ressegna di teatro comico "Il teatro che ride", nasce dalla penna del vignettista Gérard Lauzier e vede l'incontro di Elio De Capitani, alla regia, e Antonio Cornacchione nelle vesti di attore protagonista.
La storia racconta in tono ironico i dubbi e le vicende di una coppia che sta insieme da dieci anni. Francoise (Chiara Verzola) è ormai (in)decisa a lasciare definitivamente il compagno, che la tradisce e la trascura senza ritegno, per sposarsi con un altro uomo decisamente più rassicurante. Spinta (letteralmente) dall'amica Monique, che non vede di buon occhio il mascalzone al quale Francoise ha dedicato i migliori anni della sua giovinezza, la donna lascia l'appartamento nel quale hanno convissuto. A sua volta Alain (Cornacchione), dopo un'altra delle sue notti brave, torna a casa, accompagnato dall'inseparabile amico Roland (Gabriele Calindri), e, convinto che Francoise stia come sempre riposando nella stanza accanto, gli confida l'intenzione di lasciarla. Comincia così tra Alain e Roland -da sempre innamorato di Francoise, ma nonostante ciò fidato consigliere dell'amico- una serie di scambi di vedute e riflessioni sul rapporto di coppia, sull'amore, sull'amicizia e sulla volontà di impegnarsi che, tra una battuta e l'altra, coinvolgono anche il vicino di casa monsieur Chavignol (Giovanni Palladino), uno strampalato e sfortunato drammaturgo che intreccerà la sua strada con Cecile (Ylenia Malti) ex amante di Alain, il cui nome dà il titolo all'opera. L'indecisione sul futuro della coppia protagonista regna sovrana fino alla fine della commedia che, dopo equivoci e ripensamenti, vedrà la ricomposizione dell'unità familiare.
Il tema, che ben si presta a un'interpretazione comica e allo sfoggio di battute divertenti, non viene a mio parere sfruttato al massimo all'interno di questo spettacolo teatrale che fin dall'inizio parte con toni troppo caricati e a volte quasi eccessivi, con il risultato di mostrare forse troppo apertamente la ricerca dalla risata a tutti i costi.
La rappresentazione migliora con l'ingresso della coppia Alain-Roland, vivacemente e dinamicamente interpretata da Cornacchione e Calindri, che ben incarna le dinamiche intercorrenti nel rapporto d'amicizia maschile e gli atteggiamenti dell'uomo messo di fronte alla perdita di ciò che ormai considerava scontato.
Non mancano momenti simpatici e spunti ironici, specialmente quelli che coinvolgono l'esasperato vicino di casa, ma nel complesso il grado d'ilarità non supera il semplice sorriso.
La commedia paga probabilmente anche il prezzo di un'eccessiva durata (in relazione agli elementi introdotti) e di una patina caricaturale che a volte prende un po' il sopravvento e rischia di scadere in momenti di volgarità gratuita.
Da notare, invece, la bella scenografia (Carlo Sala) che ricostruisce l'interno di un appartamento parigino minimal-chic e che prende vita ben animata dagli intepreti che, con i loro movimenti e le loro azioni, la trasformano in un nuovo personaggio.


VOTO: /5