
Moni Ovadia, recentemente insignito di una laurea honoris causa dall'Università degli Studi di Pavia, ritorna nel capoluogo di provincia lombardo come regista -insieme a Roberto Andò- e attore di una messinscena che diventa manifesto del teatro epico brechtiano: il teatro che riflette su sè stesso e sul proprio ruolo, che rivela le sue convenzioni e i suoi "trucchi" per metterli al servizio della
riflessione collettiva. Un teatro didattico che spinge gli spettatori ad abbandonare le proprie abitudini percettive, ad interrogarsi sugli eventi presentati di fronte ai loro occhi, a prendere una posizione e, una volta usciti dalla sala, ad intervenire attivamente su questa realtà per migliorarla.
Mezzo principale attraverso il quale raggiungere questo scopo è l'uso di quel principio di straniamento che costituisce uno dei cardini della poetica brechtiana e che prende corpo sul palcoscenico pavese. In una scena (Gianni Carluccio) in continua evoluzione, regna sovrana la citazione. Citazioni di gesti e di attori che mescolano suggestioni kantoriane (presente in scena Roman Siwulak che, seduto su un banco scolastico con un manichino, rievoca il celebre spettacolo "La classe morta"), atmosfere da cabaret (Lee Colbert nei panni della cantante espressionista) e rimandi al grande balletto russo (Maxim Shamkov protagonista "femminile" di un assolo di danza classica). Citazioni di brani letterari tra i quali spiccano gli scritti di Walter Benjamin e le stesse parole del signor Keuner lette in video da numerosi personaggi della vita politica e culturale italiana contemporanea. Citazioni di immagini che, proiettate direttamente sulla scenografia o su schermi sospesi, spaziono dai filmati storici, alle pellicole cinematografiche fino ai terribili documenti di cronaca riguardanti le grandi stragi italiane e i delitti di mafia.
Il tutto accompagnato dalle note di un'abile orchestra, composta da otto elementi, che si misura con brani di generi molto diversi tra loro e canzoni spesso proposte in lingua originale.
Tutti gli elementi si intersecano tra loro sulle assi del palco. La percezione del pubblico è continuamente messa alla prova: le parole e le voci si sovrappongono ai cartelli e alle scritte che
scorrono su pannelli e che contengono traduzioni o moniti per chi legge e lo spettatore è costretto a scegliere quale seguire tra i frammenti narrativi presenti in scena; gli attori scendono nella platea e perfino l'identità di alcuni di essi è data per scontata (si vedano i membri della band vestiti da donna).
In un continuo gioco di sollecitazioni, Moni Ovadia, orchestratore e conduttore dell'intero meccanismo scenico, induce e conduce i presenti a trasportare quelli che erano i dubbi e pensieri del signor Keuner ai giorni nostri, a porsi delle domande e a risvegliarsi dal torpore percettivo in favore di un approccio più critico nei confronti del mondo.
VOTO:

/5

Mezzo principale attraverso il quale raggiungere questo scopo è l'uso di quel principio di straniamento che costituisce uno dei cardini della poetica brechtiana e che prende corpo sul palcoscenico pavese. In una scena (Gianni Carluccio) in continua evoluzione, regna sovrana la citazione. Citazioni di gesti e di attori che mescolano suggestioni kantoriane (presente in scena Roman Siwulak che, seduto su un banco scolastico con un manichino, rievoca il celebre spettacolo "La classe morta"), atmosfere da cabaret (Lee Colbert nei panni della cantante espressionista) e rimandi al grande balletto russo (Maxim Shamkov protagonista "femminile" di un assolo di danza classica). Citazioni di brani letterari tra i quali spiccano gli scritti di Walter Benjamin e le stesse parole del signor Keuner lette in video da numerosi personaggi della vita politica e culturale italiana contemporanea. Citazioni di immagini che, proiettate direttamente sulla scenografia o su schermi sospesi, spaziono dai filmati storici, alle pellicole cinematografiche fino ai terribili documenti di cronaca riguardanti le grandi stragi italiane e i delitti di mafia.
Il tutto accompagnato dalle note di un'abile orchestra, composta da otto elementi, che si misura con brani di generi molto diversi tra loro e canzoni spesso proposte in lingua originale.
Tutti gli elementi si intersecano tra loro sulle assi del palco. La percezione del pubblico è continuamente messa alla prova: le parole e le voci si sovrappongono ai cartelli e alle scritte che

In un continuo gioco di sollecitazioni, Moni Ovadia, orchestratore e conduttore dell'intero meccanismo scenico, induce e conduce i presenti a trasportare quelli che erano i dubbi e pensieri del signor Keuner ai giorni nostri, a porsi delle domande e a risvegliarsi dal torpore percettivo in favore di un approccio più critico nei confronti del mondo.
VOTO:



1 commento:
Posta un commento